C'è una folla di disperati in strada

C'è davvero una folla di disperati in strada. Probabilmente io sono parte di essa e, cosa ancora più ragionevole, essa non è affatto annegata in quell'indistinto che si cerca di fuggire. E' piuttosto come un cancro, che morde le cellule dall'interno, che disgrega le carni senza farsi mai osservare quale bestia affamata in attesa del suo pasto.

Dietro ogni piega d'essere si nasconde la beffa: splendere o rabbuiarsi vengono derisi come le deliranti illusioni di chi ancora è convinto di poter disporre di qualcosa che si suole chiamare "(libero...) volere".

Quanta risolutezza precipita nel burrone della realtà non appena uno smagrito piccione sbatte le ali! Ma la farse non smette mai di trovare avventori paganti e nel nome della com-(passione, prensione, partecipazione, etc.) si celebrano i crimini più efferati.

Ma è poi così indecente un pò di sana, onesta e auto-riflessiva presa di coscienza che il "valore" maneggiato ogni giorno da mani sudicie (il lavoro deve per forza sporcare) serva solo per scambiare polvere con sgorbi di gesso dalle fattezze antropomorfe? 

C'è una folla di disperati in strada.
Sono tutti vestiti e il pudore li segue.
Sulla cruna della normalità
lasciano che il vento aliti su di loro.
"Eguaglianza", ripetono,
mascherandola dietro ogni parola.
"Sto bene", come dire: "Sono eguale!",
e "Sto male" a significare la stranezza.
Non sono forse strani i boccioli rossi
su alberi chini davanti al trono dell'inverno?
E cosa dire di quel filamentoso ramo
ingerito da frutti che affatto non voleva?
Troppa fatica è stesa al sole
e troppe nubi sono al servizio del pudore.
Perché mai tendere una mano
se l'aria è già l'essenza d'ogni uomo?
La folla ha di nuovo ragione:
il vuoto trasuda stanco
le fattezze raggrinzite 
d'ogni umano essere muto.
E chi osserva
annuisce impallidito.

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