Il Salone del Libro 2010, dedicato all’India, impazza. Nel post precedente a questo vi ho raccontato dei romanzieri indiani presenti a Torino. Oggi invece voglio segnalarvi due libri di qualità lontani dai riflettori dei mass media. I loro autori non sono star della letteratura, bensì studiosi. I titoli, magari, non sono “facili”. Gli editori non sono “di largo consumo”. Ma è la qualità del lavoro – in questo caso, antropologico – ciò che rende un libro degno di essere letto.
1) Sara Roncaglia: Nutrire la città. I Dabbawala di Mumbai nella diversità delle culture alimentari urbane. Editore Bruno Mondadori, pp.238, euro 20. Chi sono i Dabbawala? Sono i membri di una casta di “portatori di cibo”, seimila persone – quasi tutte di sesso maschile, di religione hindu e di lingua marathi – che ogni giorno portano a 200mila impiegati e studenti i cibi che madri e mogli, a casa, hanno amorevolmente preparato per loro. Muovendosi nel caos indescrivibile della gigantesca città di Mumbai, i dabbawala riescono ogni giorno, quasi per miracolo, a portare in orario i pacchetti di cibo negli uffici e nelle scuole. Una funzione sociale importantissima, la loro, perché l’indiano medio non mangia “un cibo qualsiasi” bensì solo il “proprio” cibo: in India infatti il cibo è molto più che nutrimento, è simbolo di appartenenza castale, religiosa, etnica, soggetto a mille regole di purità/impurità diverse per ogni gruppo sociale. A ciascuno il “suo” cibo, dunque. E ai dabbawala l’onere di non sbagliare nelle consegne…benché siano quasi tutti analfabeti.
L’autrice del volume è una giovane ricercatrice che ha passato lungo tempo fra i dabbawala per studiarne la vita, le regole castali, i codici di comportamento, i linguaggi. Il risultato è un brillante e originale saggio di “antropologia urbana”, che ha la freschezza propria delle esperienze vissute (come dovrebbe fare ogni antropologo che si rispetti…). Un libro, dunque, che risulterà interessante sia per gli indologi sia per gli studiosi delle culture alimentari, e più in generale per tutti coloro che vogliono capire come funziona, nonostante tutto, quel meraviglioso meccanismo a orologeria che chiamiamo Mumbai.
2) Umberto Mondini, Vinay Kumar Srivastava (con fotografie di Roberta Ceolin e Claudio Tirelli): Adivasi. Le minoranze etniche dell’India. Edizioni Progetto Cultura, pp. 190, euro 15.
Adivasi è una parola hindi che indica gli aborigeni ovvero gli “abitanti originari” dell’India. Si tratta di circa 250 gruppi etnici che comprendono in totale 80 milioni di persone con lingue e costumi assai diversi da quelli del resto degli indiani. L’India è attualmente il Paese al mondo con la maggiore presenza di aborigeni. Che tentano ancora oggi di seguire il proprio stile di vita tradizionale – variamente basato sulla raccolta di frutti, o su caccia e pesca, o su una rudimentale agricoltura, oppure sul nomadismo – nonostante le varie minacce portate dalla globalizzazione, dallo sviluppo industriale e perfino dai villaggi turistici. La presenza degli adivasi è un fenomeno rilevante sul piano sociale e ambientale (e dunque politico), e tuttavia solitamente negletto dagli studiosi, specialmente in Italia, dove solo di recente si è parlato degli aborigeni indiani in questa mostra. Il volume di Mondini (storico delle religioni dell’Università Pontificia Salesiana) e di Srivastava (antropologo dell’Università di Delhi) colma dunque una lacuna notevole negli studi italiani sull’India. Con l’aiuto delle belle fotografie di Ceolin e Tirelli, gli autori descrivono – in verità con un linguaggio un po’ scolastico e old style, e tuttavia accessibile - gli usi e costumi di una trentina di gruppi tribali; il risultato è quello di aprire una porta su un mondo quasi del tutto sconosciuto. Il volume prende in esame anche la cultura dei Dongria Kondh, un’etnia dell’Orissa che negli ultimi anni è stata protagonista di un’epica lotta politica contro una multinazionale mineraria intenzionata ad espropriare il territorio della tribù per estrarne bauxite: la vicenda è ancora in corso e Milleorienti l’ha descritta qui. Conclusa la lettura dell’opera resta un rammarico: che siano state considerate “solo” una trentina di tribù, nel variegato universo degli aborigeni indiani.