Un benvenuto a Paolo Besagno e un grazie per la collaborazione; il resto lasciamolo alla sua riflessione.
C’era un libro bianco.
Un ricordo distinto.
Mio padre, quando si trattava di libri da leggere, aveva un pudore tutto suo:
li rifasciava con un foglio, in modo che dall’esterno non se ne potesse conoscere il titolo.
La lettura è un fatto privato e in casa tua, luogo dove spesso giri in mutande, un libro lo potresti anche leggere lasciandone visibile la copertina.
Ma quando sei per strada o seduto sui mezzi pubblici? Massima attenzione: una rifasciatina di sicurezza è sempre consigliata.
Quella è la periferia delle nostre cose, un luogo dove mettiamo a punto alcune idee, un’area riservata in cui ogni giorno è possibile maturare la convinzione di non essere solo terra per i vermi, umori marcescenti, gas.
Papà si aggira per casa, con in mano il volume fasciato di bianco.
Parto di testa perchè lo sento come un fratello minore. E’ una sensazione strana pensare a un padre più giovane di te.
Il libro mi evita di imbarcare questo pensiero al distorsore sulla zattera senza timoniere dell’ordinario.
Fa piacere.
Tale azione microscopica, impercettibile, sulle prime faticosa, oggi è un gioco.
S’aggiunge alla ridda di azioni – di per sé insipide – che costituiscono l’essere dell’essere, a tratti umano.
Genìa strampalata, quest’animale.
Salvo per meraviglia, se vista l’antecedente come complemento di mezzo.
Stasera, signori, il bianco tiene banco. Un nitore assurdo, sotto la sferzata dell’occhio di bue.
Bianco su bianco, dunque.
E’ solo la copertina. Come il cappello dell’insopportabile Piccolo Principe.
Lo spot ferisce l’occhio. Guai a strizzarlo, però, pena rughe profonde.
E’ ora d’andare. Sistemate il tavolo, ragazzi.
Domani si gioca ancora.