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C'era una volta in Anatolia

Creato il 19 settembre 2012 da Misterjamesford
C'era una volta in AnatoliaRegia: Nuri Bilge Ceylan Origine: TurchiaAnno: 2011Durata: 150'
La trama (con parole mie): nel cuore dell'Anatolia, in una notte per le strade delle steppe battute dal vento punteggiate da villaggi isolati, una squadra della polizia accompagnata da un medico, un magistrato ed una scorta militare segue le tracce di due fratelli rei confessi di un omicidio che dovrebbero condurre gli uomini al luogo in cui hanno seppellito la vittima, un uomo che vive nel loro stesso paese.
La confusione dei fermati rende la ricerca lunga e tortuosa, tanto da assumere le dimensioni di un viaggio anche interiore dei tutori dell'ordine, costretti a parlare di se stessi, del loro passato e delle loro vite in attesa che la missione giunga alla sua conclusione.
In particolare, il capo della pattuglia Naci, il medico Cemal ed il magistrato Nusret si specchieranno nei loro mondi differenti eppure complementari.
C'era una volta in Anatolia
C'era una volta in Anatolia è un pò come uno di quei liquori o caffè dei quali è impossibile apprezzare appieno il gusto al primo sorso, e che, al contrario, vanno lasciati sedimentare a fondo, nello stomaco e nel cuore: ammetto infatti che, agli occhi di chi non è avvezzo ad un Cinema autoriale votato alla grande tecnica e ai ritmi soffusi e dilatati nella migliore tradizione russa - Ceylan, con il precedente e splendido Uzak, si era guadagnato dalle parti di casa Ford addirittura l'accostamento al Maestro Tarkovskij, uno dei più grandi registi di tutti i tempi -, un lavoro come quello del cineasta turco possa risultare ostico ed estenuante almeno quanto la ricerca che ne coinvolge i protagonisti, senza per questo mettermi al di sopra dello spettatore occasionale o darmi arie da saccente radical chic da circolo intellettuale.
In fondo, come alcuni di voi hanno potuto constatare di persona, non sono altro che un tamarro che più che nella Pianura Padana avrebbe trovato il suo posto in Texas, o da qualche parte nel Sud degli States, dunque direi che più che altro riconosco la difficoltà e l'impegno che un viaggio - emotivo, visivo e mentale - come quello di C'era una volta in Anatolia richiede: nell'ultimo anno, forse il solo Faust di Sokurov e I colori della passione di Majewski - entrambi, peraltro, decisamente più brevi, soprattutto il secondo, rispetto al lavoro di Ceylan - sono stati allo stesso livello, dal punto di vista della mole di "materia" riversata come una colata di cemento sulle spalle dello spettatore.
D'altra parte c'è di buono che la "fatica" spesa nel corso della visione viene ripagata da un senso di pienezza ed un onda lunga post-titoli di coda in grado di lasciare i lavori di questo genere impressi nella memoria del cuore ancor prima che del cervello anche a distanza di anni, quasi fossero - e torniamo al principio - un sapore che bussa alla porta di pensieri e ricordi come la famosa madeleine proustiana.
Per questo assaggio - che poi, a ben osservare, pare un pranzo di otto portate - Ceylan si prende tutto il tempo che desidera, indugiando sulla sua perizia - basterebbero la fotografia ed una manciata di movimenti di macchina da pelle d'oca a fare grande l'intera opera - e nei particolari anche solo suggeriti legati ai protagonisti e alle loro vite, trovando tutti i tempi giusti sia quando è la cornice a raccontare - il ritrovamento della maschera di pietra da parte di Cemal - che quando la parola passa al disagio umano - gli interrogatori di Naci, o il suo dialogo con la moglie - o alla vera e propria componente noir e thriller della vicenda, legata al racconto della bellissima donna che annunciò la sua morte narrato dal magistrato nell'ambito di una riflessione sui metodi d'indagine e sull'approccio agli strumenti della Giustizia.
Ma all'autore non basta scomodare una tempesta di sensazioni legata al crescendo del confronto tra l'appena citato Nusret e Cemal, o al sogno di una donna che finirà come incatenata in un villaggio sperduto invece che tra le braccia di un uomo da poco, in città, o all'idea che un bambino crescerà senza il padre che l'ha cresciuto, odiando quello che l'ha generato: Ceylan vuole mettersi comodo e scavare a fondo, tuffandosi nella solitudine e nella sofferenza, nella sensazione di essere perduti e nella speranza di essere accolti - la cena frugale in paese, la sigaretta al reo confesso -, incaricando il suo dottore di essere l'Ulisse di quest'Odissea che, più che poliziesca o crime, ha il sapore del metafisico.
Ma è un metafisico profondamente corporale, che ha il volto di colline prese a schiaffi da un vento che porta tempesta e speranze di libertà ed il corpo di una provincia lontana da tutto quello cui la quotidianità fa riferimento per il suo benessere cittadino: è la miseria umana che diviene illuminazione, un sasso scagliato contro il destino, la consapevolezza che tutto ricomincia, ed il passato ci lascerà soltanto più soli di fronte a questo spazio infinito.
Sarà con quella terra schiacciata in fondo alla gola, fino ai polmoni, che soffocheremo di vita nella speranza che, un giorno, si possa raccontare a qualcuno il "c'era una volta" che darà senso alla nostra ricerca.
MrFord
"Mother I've tried
wasting my life
I haven't given up, I lie
to make you so proud in my eyes
fallin' out of sleep
crawlin' over me
to the last goodbyes
who cares why?"Smashing pumpkins - "Once upon a time" -

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