Rifugiarsi nel passato è sempre un bel modo per criticare e avere un alibi per non agire, forse è per questo motivo che si è trasformato in uno degli sport nazionali. Ricordare i bei tempi andati stando seduto al bar con gli amici a bere un caffè e poi… beh, poi andare a casa, tanto le cose non cambieranno mai. Certo, le cose non cambieranno, perché ci sarebbe bisogno di svegliarsi e di darsi da fare e a quanto pare non tutti se la sentono di lasciare il caldo e confortevole agio dell’ignorare. Per quanto ancora vogliamo crogiolarci al ricordo delle Sette Meraviglie del Mondo Antico? A proposito, siamo sicuri di riuscire a ricordarcele tutte senza il generoso aiuto di Wikipedia? Come erano queste Meraviglie, quanti ne conservano la memoria, quanti saprebbero descriverne oggettivamente la loro bellezza e grandezza? Temo pochi, purtroppo… E vogliamo ancora bearci del Grand Tour che prevedeva come tappa obbligatoria l’Italia? Meglio pensare a quando ci dicevano che eravamo belli e bravi piuttosto che rimboccarci le maniche e ridare lustro ai millenni di Storia e di Arte che hanno reso il nostro il bel paese che era? Forse non ce ne rendiamo conto, o forse non vogliamo rendercene conto… La politica e i suoi politicanti non sono minimamente attivi nel mecenatismo, obbligo che dovrebbero aver ereditato dalle precedenti forme di governo. La scusante della mancanza di denaro è opinabile, in questo caso si potrebbe utilizzare il patrimonio personale di chi è al “potere” e non quello pubblico, ciò che invece ostacola queste presenze dal farsi promotori dell’evoluzione artistica sono le loro scarse conoscenze (o dovrei dire quasi del tutto assenti?) che portano a presentare pianistuncoli da cabaret elevati al rango di grandi innovatori musicali, mentre molti altri dotati virtuosi sono abbandonati al ciarpame dei concorsi. D’altronde non si può pretendere troppo da chi ha un bagaglio culturale decisamente limitato.
Ma a quanto pare, ben ci sta… forse. Dal momento che la maggior parte dei nostri stimati compatrioti trova più intellettualmente stimolante l’appena riaperto calciomercato rispetto alla salvaguardia di un patrimonio quale è quello lasciatoci in eredità da millenni di Storia e di Arte. Un patrimonio non soltanto culturale, ma di inestimabile valore e potenzialmente fonte inesauribile di ricchezza. La polemica non vuole essere uno sterile sproloquio basato sui luoghi comuni ma vuol mettere in luce anche fatti vergognosi. Ad esempio, i tagli alle soprintendenze sono stati tali da aver obbligato, visto il budget previsto ridotto ormai all’osso, alcuni ispettori ad usare la propria macchina privata per recarsi sui siti da controllare (senza ricevere rimborsi). E fino a qui… Lo scandalo viene dopo perché tolte anche le assicurazioni, rendendo di fatto impossibile l’uso del proprio mezzo, si è bloccata totalmente l’attività di questi funzionari. Quindi lo Stato è arrivato al punto di vietare il preservare i nostri tesori. Ma la cosa sconcertante è che i soldi in realtà ci sono: ci sono per campagne stampa ridicole, per elezioni inutili, per salvare le banche e ditte improduttive. Ci sono anche quando si devono far lavorare i giudici o gli stessi politici per decidere se una partita di calcio sia stata truccata o meno. Ma non ci sono per l’unico bene per cui valga ancora la pena essere italiani: l’immane patrimonio culturale e storico che ci invidia il mondo intero.
Un vecchio adagio popolare ricorda di non dover fare di tutta l’erba un fascio. E così non deve essere. Ci sono realtà anche nell’editoria e fra i comuni cittadini che mettono in luce una forte spinta nel voler valorizzare ciò che di bello ci è stato lasciato e ciò che di bello siamo in grado ancora di creare. È auspicabile che chi abbia un intelletto sensibile alla cultura non si faccia anestetizzare da questa sorta di sopravvivenza rassegnata e ritorni a parlare con veemenza di cultura, di arte antica e contemporanea. I musei non devono essere dei silenziosi mausolei, devono tornare ad essere luogo di crescita, di discussione e di accesi dibattiti. I caffè letterari non devono più essere luoghi dall’aria viziata che sopravvivono di ricordi, devono tornare ad essere ambienti in cui le nuove generazioni si scontrano con le vecchie sul campo del sapere. Se ci si rassegna, tanto vale innalzare un “Viva l’Italia… che fu”.
In copertina: Michelangelo Buonarroti – Creazione di Adamo (1511) – Cappella Sistina (Città del Vaticano)