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C'era una volta una polacca a new york: che lavoro le fecero fare?
Creato il 29 novembre 2014 da Cannibal KidC'era una volta a New York (USA 2013) Titolo originale: The Immigrant Regia: James Gray Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello Cast: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Angela Sarafyan, Jicky Schnee, Dagmara Dominczyk, Maja Wampuszyc Genere: clandestino Se ti piace guarda anche: Boardwalk Empire, C'era una volta in America, Two Lovers, Blood Ties
C'era una volta una giovane donna che viveva nella Terra di Polonia. La fanciulla aveva una grande fortuna e una grande sventura. La sua fortuna era quella di essere una gran sventolona. La sua sventura era che per quel motivo tutti se la volevano ciulare, con o senza il suo consenso. Nonostante fosse polacca, la fanciulla aveva lo splendido volto dell'attrice francese Marion Cotillard, d'altra parte per gli americani noi europei siamo sempre stati tutti uguali. La ragazza polacca con il volto da francese se ne era scappata dalla sua terra natale dove tutti la volevano ciulare fino agli Stati Uniti in cerca di maggiore fortuna. Non è che ne avesse trovata molta già a partire dal viaggio in nave, dove è stata stuprata. Una volta arrivata a New York, le cose non è che siano andate per lei poi molto meglio. Anzi. I medici americani hanno scoperto che la sorella con cui è arrivata era malata e l'hanno messa in quarantena, manco avesse avuto l'ebola. Le cure cui doveva essere sottoposta erano molto costose e così, per permettersele, che lavoro volete si sia messa a fare la bella fanciulla polacca?
Sì, proprio quello che state pensando. Sarà uno stereotipo, ma si è messa a esercitare la professione più antica del mondo. D'altra parte questa non è, nonostante il titolo italiano, una favola. La bella Marion non ha fatto in tempo a mettere piede sul suolo americano che aveva già un pappone/talent-scout, ovvero Joaquin Phoenix, attore spesso strepitoso che qui, dopo la prova magistrale in The Master, ci regala invece una delle interpretazioni più sotto tono della sua intera carriera. Mai visto così spento e fuori parte. Nemmeno Marion Cotillard riesce a tenere a galla le sorti né del suo sventurato personaggio, né della sventurata pellicola di cui è protagonista. E chi segue questo blog sa quanto Marion sia venerata come un santino qui su Pensieri Cannibali dove, tanto per dire, Un sapore di ruggine e ossa è stato eletto film dell'anno 2012. Quanto a C'era una volta a New York, non è un film brutto. È solo piatto. Più che noioso, ed è abbastanza noioso, è piatto. Si sta sempre lì lì in attesa di qualcosa e invece non succede niente. Come un episodio di Boardwalk Empire, serie ambientata nello stesso deprimente periodo del Proibizionismo, solo ancora più palloso. Il regista James Gray firma un lavoro molto classico, d'altri tempi, e ha scelto di fare un lavoro di sottrazione, senza estremismi, senza violenza, senza scene esplicite. Una pellicola su una polacca che fa la prostituta e non c'è manco mezza scena di sesso? Ma dove siamo?
C'era una volta a New York sembra la versione per famiglie di un film di Lars von Trier. È un melodramma, in cui di dramma ce ne sarebbe in dosi abbondanti, solo non ci viene mostrato. E ciò non ha senso. Va bene non voler far prostituire i sentimenti ma solo la protagonista, però un melò ha bisogno di emozioni forti. Di scene madri. Di conflitti. Il triangolo sentimentale tra Marion Cotillard, il suo P.I.M.P. Joaquin Phoenix e un mago interpretato da Jeremy Renner, tra i tre attori a sorpresa quello che qui appare più convincente, aveva un potenziale enorme e invece si risolve in maniera sbrigativa e banale. Dopo tanto penare, si arriva a fine film chiedendosi quale sia lo scopo di una pellicola del genere. Perché raccontare una storia di immigrazione di un centinaio di anni fa, disperata e dura, ma nemmeno troppo disperata e dura, quando il mondo di oggi, come il bellissimo Due giorni, una notte con la stessa Marion Cotillard testimonia, offre spunti parecchio più interessanti e attuali? L'unico messaggio arrivato a destinazione, almeno per quanto mi riguarda, è quanto l'American Dream rappresentasse una gigantesca illusione, per non dire una gigantesca stronzata, già un secolo or sono. Questa però è una cosa che ormai sappiamo benissimo e forse non era necessaria una “nuova” pellicola per ribadire un concetto tanto risaputo. L'immersione nel periodo degli anni '20 non è nemmeno così efficace da un punto di vista meramente stilistico. James Gray propone il cantante lirico italiano Caruso, qualche abito d'epoca, una fotografia vagamente simile a quella di C'era una volta in America, il capolavoro di Sergio Leone richiamato dal titolo italiano, ma non si respira mai davvero l'aria dell'epoca. Appare tutto finto, artificioso, solo in tono molto minore rispetto ai bei vecchi kolossal de 'na vorta.
C'era una volta a New York più che una pellicola è un paradosso. È un film storico senza Storia. È un melò sentimentale senza sentimenti. È un film su una “professionista del sesso” senza sesso. E badate bene con quale eleganza ho evitato la parola puttana fino alla fine del post... oops, quasi fino alla fine del post. È un romanzo criminale senza criminali. È una storia triste che non commuove mai. Le uniche cose che non mancano a questo film sono allora la noia, ma di quella ne avremmo anche tutti volentieri fatto a meno, e una certa raffinatezza, questo bisogna concederglielo. Soltanto che per raccontare una storia del genere non serviva raffinatezza. Serviva semmai - Marion Cotillard mi passi il francese - tirare fuori di più le palle.
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