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28 giugno 2005, un caldo tremendo, sono in mansarda, tutto aperto, fa un caldo terribile, da morire.Le tegole del tetto bollenti, non vola neanche un uccello, sono tutti fermi all’ombra di qualche albero o pianta. Ad un tratto il silenzio della Murgia accanto è rotto da un cinguettio mitragliante.Passano le ore, questo pianto di un passero non si ferma mai. Ha fame, la mamma passera non appare all’orizzonte. Col passare dei minuti, ancora tante ore, niente non arriva nessun altro passero sul tetto, mentre quel lamento diventa sempre più incalzante. Decido di sollevare alcune tegole. Ecco il primo incontro con Ciop. Ha gli occhi ancora chiusi. Ha sicuramente fame e sete, con lui nel piccolo nido dorato c’è un ovetto ancora integro, di là nascerà Cip (sono i nomi che poi abbiamo assegnato loro).Fuori dal nido sul cemento rovente due corpicini ormai senza vita di altri piccolissimi passeri, nati prima e che evidentemente abbandonati al loro destino, erano inesorabilmente morti, tentando invano di attirare l’attenzione della loro mamma, ormai anche lei scomparsa, forse già morta da qualche altra parte dell’arida collina circostante.C’era poco da fare, morte sicura per quel piccolo uccellino, ma ecco apparire per lui una grandissima mamma: Rita, di dimensioni mastodontiche per quel piccolo passero. Una mamma senza ali, ma con un cuore enorme, così con pane e latte ad imboccare Ciop, che finalmente di lì a poco aprì gli occhi ed entrò felicemente in contatto con la sua nuova realtà. Ogni giorno che passava, latte e mollica di pane. La bocca sempre spalancata, il collo un pozzo senza fondo e così il nido si trasferì stabilmente in mansarda. Dopo tre giorni si aprì l’altro ovetto, ecco Cip, collo allungato e bocca aperta, sempre a strillare. Bastava passare da vicino che subito le due bocche si spalancavano a dismisura. Le giornate filavano sempre uguali: cinguettio, bocca aperta ed a turno uscivano dal nido in retromarcia per poi sganciare cacchine che per cinque bellissimi mesi hanno colorato la nostra vita e perché no, anche la nostra casa.Sin da piccolo, affascinato dal mondo degli uccelli, mi fermavo spesso a guardarli durante i loro voli, in fondo pensavo che erano comunque come tanti altri animali che sistematicamente si avvicinavano per mangiare e che poi scappavano, come facevano i colombi di piazza Duomo a Milano. Sicuramente era un fabbisogno alimentare, di sopravvivenza, invece con Ciop ho realizzato altre conclusioni, poichè si avvicinava per il cibo, ma poi, dopo le sue corse in mansarda, veniva a cercarti, non per mangiare ancora, ma bensì, perché cercava compagnia. Si sentiva sicuro, protetto, tanto che spesso cercava un angolino libero su di noi dove poter riposare. Si accovacciava, ci guardava negli occhi e poi chiudeva lentamente i suoi. Eravamo la sua guida, si fidava e forse questo un po’ gli è stato fatale, perché noi eravamo così attenti, non gli altri. Ho sempre notato che spesso quando facevo qualcosa manualmente: lavarmi, usare utensili o al computer, Ciop era sempre lì, scendeva dalla mia spalla lungo il braccio, si fermava quasi sulla mano, poi si girava, mi guardava negli occhi e poi tornava a seguire i movimenti delle mani. Tentò persino di aiutarmi a togliere le viti da una serratura con il suo becco. Era un uccellino fantastico.Spesso restavo a fissarlo. Era una cosa nuovissima per me. Era come scoprire un lato della vita fin lì sconosciuto. Spesso mi vengono in mente alcune sue apparizioni, al mattino quando io e Rita tardavamo ad alzarci e restavamo un po’ nel letto più del solito. Camera ancora al buio, porta aperta. Un po di luce filtrava dal soggiorno e questo piccolo passerino scendeva giù dalla mansarda, dalla sua bella ed enorme pianta dove era solito passare la notte. Svolazzava per l’appartamento e tante volte anche al buio, pian piano veniva a cercarci nel letto.Un giorno era scomparso, non riuscivamo più a trovarlo, in casa non c’era, allora scendemmo in giardino e lì a chiamarlo, ma niente, ormai era passato tanto tempo. Tanti uccelli volavano in gruppo tra gli alberi. Noi tutti in coro urlavamo: Ciop, Ciop. Ad un tratto, uno dei tanti passeri che passavano continuamente, si allontanò velocemente dagli altri e piroettando come un piccolo aereo si posò dolcemente sulla spalla di Rita. Dal suo becco uscì un sottilissimo cip, paragonabile ad un ciao. Così dopo due ore di libera uscita, tornò a casa, svolazzando di qua e di la, come sempre sganciando cacchine in ogni angolo. Tra le cose belle che piacevolmente ricordo, sono i suoi bagnetti in piccole tinozze d’acqua. Era bellissimo osservarlo quando sul davanzale della finestra era spesso fermarsi a guardare fuori. Dritto sulle zampette, allungava il collo e con lo sguardo fissava tutto ciò che appariva a quella postazione. La presenza anche se pur breve del piccolo Ciop nella nostra vita ha assunto un gran valore e sono certo che occuperà per sempre un gradevolissimo ricordo. Dopo la scomparsa di Ciop la mia casa è stata invasa e conquistata da un altro piccolo animale: una gattina di nome Birba che se fosse arrivata un po’ prima, sicuramente avrebbe fatto festa con il piccolo Ciop.