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C’è qualcosa di liberatorio, nel nuovo corso renziano, di Luca Ricolfi

Creato il 09 aprile 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

C’è qualcosa di liberatorio, nel nuovo corso renziano.

Di Luca Ricolfi

  • Renzi è un rabdomante, e ha fiutato il clima del paese. Ha capito che oggi si possono dire e fare cose impensabili fino a pochi anni fa (in questo aiutato dall’istinto conformistico dei media, che si sono immediatamente allineati al novello principe). Si possono criticare i sindacati, si possono stigmatizzare i disoccupati che cumulano sussidio e lavoro nero, si può tagliare la spesa pubblica per ridurre le tasse, si può parlare di flessibilità sul mercato del lavoro, si può criticare la magistratura (vedi la ferma difesa dei politici «solo» indagati), si può dare dei «professoroni» ai vati della cultura progressista.
  • Quel che con Renzi viene finalmente al pettine è il nodo del conservatorismo italiano, una sindrome che affligge il paese da almeno trent’anni e che ha caratterizzato, ormai possiamo dirlo, non solo la destra (da cui forse ce l’aspettiamo di più) ma anche la sinistra. Un conservatorismo che ha bloccato il paese sia sul terreno delle regole sia su quello delle grandi riforme economico-sociali. Mentre grandi paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Germania, sia pure con metodi e tempi diversi, attuavano le riforme radicali di cui avevano bisogno, e anche per questa via modernizzavano la sinistra (si pensi a Clinton, Blair e Schroeder), l’Italia si baloccava tra una rivoluzione tradita (quella liberale di Berlusconi) e un riformismo mai veramente decollato (quello dell’Ulivo di Prodi).
  • È vero, ad esempio, che l’incapacità della sinistra di rinnovarsi e di uscire dalla trappola dell’antiberlusconismo, un’incapacità di cui il primo responsabile è il ceto politico, è stata spesso, molto spesso, alimentata e ingigantita non già dai professori in quanto tali, ma da una élite di intellettuali in senso lato. Una élite progressista fatta di professori, scrittori, magistrati, registi, artisti, comici, attori, giornalisti, intimamente convinti della propria superiorità morale e civile, e irresistibilmente attratti dall’idea che il proprio compito, anzi la propria missione, non sia semplicemente di far bene il proprio mestiere, bensì di insegnare al paese come vivere e che cosa pensare.
  • Già, perché una cosa bisognerà pur dirla una buona volta: se oggi l’Italia è un paese profondamente diseguale, con una frattura abissale fra garantiti e non garantiti, con i giovani e le donne sistematicamente tenuti ai margini del mercato del lavoro, con uno Stato sociale dispensatore di privilegi e avaro di servizi, è anche perché per decenni ci siamo tenuti questa sinistra, miope e conservatrice.
  • . Gli intellettuali e i tecnici, i maestri e gli specialisti, la politica li ha sempre usati, ma non li ha mai ascoltati davvero (e qualche volta è stato un bene). Solo un grande narcisismo, e una certa dose di ingenuità, possono far credere ai professori che il loro ruolo possa cambiare.

da Un articolo importantissimo di Luca Ricolfi.

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