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geometria sacra
La cabala o Qabbaláh è parte della tradizione esoterica della mistica ebraica, in particolare il pensiero mistico sviluppatosi in Europa a partire dal VII-VIII secolo EV.
Nella religione dell'ebraismo, Qabbaláh (ebr. ????) è l'atto di ricevere, la tradizione.
Base del pensiero cabalistico è la Bibbia ebraica o Tanach (acronimo per "Torah, Profeti, Scritti"). La secolare esegesi del Tanách, già contenuta nella halakháh (esposizione sotto forma narrativa), nella haggadáh (presentazione della casistica giuridica), nei due Talmudím, il babilonese e il gerosolimitano, e nei molti midrashím, aveva ormai da secoli posto l'interpretazione del testo sacro al centro della vita dell'Israelita.
Il fulcro dell'elaborazione delle dottrine mistiche riguardanti l'aspetto segreto del creato è un'opera composta verosimilmente in Éretz Yisraél nel VI o VII secolo, il Séfer yetziráh (Libro della formazione). Nel Sefer yetzirah, che tratta delle forze segrete del cosmo, si trova la prima menzione di un termine che diventerà centrale nella successiva speculazione: la nozione di sefiráh.
Letteralmente sefirah (plur. sefirót) significa "calcolo, numerazione". Nel Sefer yetzirah il termine acquista un significato più ampio: le sefirot sono manifestazioni allusive dell'energia divina. Gli autori cabalistici amano paragonare le sefirot a zaffiri. Partendo da un assonanza dei due termini.
Tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII, fa la sua comparsa una vasta letteratura mistica già ben organizzata sulla dottrina delle sefirot; queste si possono definire i gradi per mezzo dei quali Dio agisce nel creato. Praticamente tutti i mistici affermano che esse sono in numero di dieci.
I nomi delle sefirotLe sefirot hanno anche dei nomi propri: Kéter (corona), la più alta e più vicina all' AIN ; Bináh (scienza o conoscenza) e Khokhmáh o Hokmah (saggezza) a un livello inferiore;Gevuráh o Geburáh (forza) e Khésed o Hésed (misericordia o pietà) al terzo livello; Tiféret (bellezza) al quarto; Hod (gloria) e Nétzah (eternità o vittoria) al quinto; Yesód(fondamento o fondazione) al sesto; Malkút (regno), la più prossima all'uomo. Questi sono i nomi più frequentemente usati. A volte Gevurah viene chiamata Din (giudizio) o Pachad(paura), Khesed può essere chiamata Gedulláh (grandezza), Tiferet Rakhamím (misericordia).
KETER = PRIMO LOGOS-IL PADRE
BINAH = TERZO LOGOS-LO SPIRITO SANTO CHOKMAH = SECONDO LOGOS-IL FIGLIO
CHESED = MONDO-CORPO ATMICO GEBURAH = MONDO-CORPO BUDHICO
TIPHERETH = MONDO-CORPO CAUSALE
NETZACH = MONDO CORPO MENTALE HOD = MONDO-CORPO ASTRALE
YESOD = MONDO-CORPO ETERICO
MALKUTH = MONDO-CORPO FISICO
JĪVĀTMĀ, ĀTMĀ, PARAMĀTMĀ - I TRE ASPETTI DI DIO, BRAHMAN O SATCITĀNANDA
Jīvātmā è il Sè individuale in quanto Essere vivente, la Ātmā è un un frammento ed emanazione del Paramātmā, ed indica l'essenza che ogni individuo (jīvātmā) contiene nel suo Essere; infine la Paramātmā è la Coscienza Cosmica, Dio, che attraverso la sua espansione comunica la conoscenza e coscienza della Ātmā attraverso il cuore di ogni jīvātmā. Paramātmā è la SuperAnima, la SuperCoscienza, il Supremo Principio, il Divino Sè o Supremo Sè, l'Amore Universale, la Verità o Realtà Ultima. La Ātmā si suole indicare come un raggio della luce del Brahman o Paramātmā. Ogni jīvātmā è coniugato alla Ātmā di ogni altro jīvātmā in quanto qualitativamente appartenenti alla medesima essenza, tutte eguali emanazioni del Mahādeva, Signore Supremo Śiva. Come ogni seme contiene tutte le qualità dell'albero, così la Ātmā di ogni jīvātmā contiene le qualità del Paramātmā. La Ātmā è anche considerata la luce della vita, ciò che permette ad ogni jīvātmā di riflettere e risplendere la conoscenza ed esperienza del Paramātmā. Jīvātmā, cioè il Sè individuale, è il riflesso della totalità della Ātmā come individuo; è un'onda che emerge dall'oceano dell'esistenza, sia attraverso la trasmigrazione delle anime o saṃsāra, sia attraverso l'esperienza e processo di sviluppo della coscienza in ogni esistenza. Tutto ciò che viene esperito dal singolo jīvātmā torna unità nella Ātmā. L'esperienza dell'esistenza può portare maggior sviluppo laddove non v'è identificazione con i mezzi con i quali il jīvātmā esperiesce l'Essere, ovvero la mente, i pensieri, il corpo fisico. Il cammino del jīvātmā consapevole è volto a discriminare ciò che è reale da ciò che non lo è, ciò che è un'emanazione di Dio e ciò che è solo un mezzo per esperire le sue emanazioni. Sostanzialmente la vivēkā (principio fondamentale dell' Advaita Vedānta) consiste nel riconoscere la māyā (ciò che è illusorio ed impermanente) e distinguerla da ciò che è emanazione reale del Paramātmā (eterno e perpetuo), ciononostante la deve esperire con consapevolezza per accrescere la Ātmā.
Ciò che lega l'esperienza dell'esistenza del jīvātmā al Paramātmā è anche il principio del Ahamkāra, ovvero l'ego. L'ego secondo i Vedā è la "volontà di esistere", è la volontà di manifestare l'auto-espressione di Sè attraverso un senso di Io. Ciò che si trascende esperendo l'ego sta nel riconoscere il fatto che in ogni jīvātmā v'è la medesima essenza di Ātmā, portando l'individuo a conoscere l'equanimità tra ogni essere vivente. La forma gassosa dell'acqua, anche se sembra differente dalla forma dell'acqua dell'oceano, corrisponde alla medesima essenza dell'oceano, ed in questo consiste la dissoluzione dell'ego verso la consapevolezza della verità invisibile in Tutto Ciò Che E' che è la Suprema Coscienza che unisce ogni cosa che irradiando ogni si manifesta in diverse forme come Unità di tutte le cose. L'unificazione delle anime individuali o jīvātmā verso l'unica-conscia-esistenza della Ātma viene chiamata nei Vedā come illuminazione o autorealizzazione, unico veicolo che ci porta a conoscere e riconoscere Brahman o Paramātmā come frammentariamente manifesto con la medesima essenza e qualità in ogni essere vivente o jīvātmā. Illuminazione significa che tutto ciò che viene riconosciuto dalla propria luce interiore (Ātmā) come parte illusoria dell'Essere, discernendola da ogni identificazione dell'ego, viene lasciata nell'ombra, che è la creatrice di ogni illusione, ma allo stesso tempo di ogni consapevolezza che poi riporta all'ombra ciò che viene riconosciuto (attraverso la discriminazione o vivēkā) come non-luce, o illusione (māyā).
Swami Maheshwarananda Mangilal Garg ci insegna: "Non si può esplicare o descrivere la Ātmā, può essere solamente esperita. La più vicina analogia la possiamo trovare considerando la luce o lo spazio; lo spazio non può essere distrutto in quanto rimane eternamente lo spazio. Si può dividere lo spazio in zone ben definite con dei confini, all'interno dei quali troveremo gli spazi individuali, e anche se all'interno di queste zone riconosceremo sfumature differenti, quando toglieremo i confini riapparirà automaticamente l'Essenza che unisce ogni cosa, cancellando ogni differenziazione scelta e creata dalla mente. Così come i confini dividono lo spazio, il corpo, la mente, l'intelligenza, le qualità e l'esperienza identificata nel termine "persona", definisce all'interno di specifici limiti il Sè. La verità è che il corpo muore, la persona cambia, ma non la Ātmā. Il nostro vero Sè non è mai nato, è immutabile ed immortale. Il Sè Individuale o Jīvātmā è il "Re" che governa il punto in cui le "famiglie reali" o forze dell'universo si unificano, disperdendosi prima di entrare e dopo che è uscito dal suo "palazzo" (corpo)."
La filosofia hindu, ed in particolare all'interno degli insegnamenti dello Yoga, è stata per secoli esaminata la necessità di conoscere la risposta all'essenziale quesito che ogni singolo individuo si pone nei riguardi dell'esistenza: - Chi sono Io? -.
La risposta a tale quesito si può ottenere solamente con l'esaminazione di se stessi: - Tu sei il corpo? Sei la mente? Sei per caso le tue qualità, pensieri o emozioni? O sei qualcos'altro? - Tanto continuerai a cercare in profondità, conoscerai ogni sotto aspetto del tuo Essere, tornando alla Sorgente dove ogni Elemento ha origine. Infine riconoscerai che Tu non Sei un Tattva - una delle trentasei qualità dell'emanazione della realtà - e nemmeno uno dei Guṇa - le tre qualità costituive della Natura materiale (prakṛti), cioè creazione o sattva, preservazione o rajas, e distruzione o tamas, del principio cosmico femminile o śakti, contrapposte alla Natura spirituale (puruṣa), principio cosmico maschile o śiva -, ma riconoscerai l'esperienza di te stesso come: Sat-cit-ānanda (Verità-Coscienza-Beatitudine), cioè come l'essenza del Sè Divino o Paramātmā, che vive attraverso l'eterno, immutabile, infinito Ātmā in ogni jīvātmā. L'unica vera realtà all'interno di ognuno di noi è la Ātmā, tutto il resto è non-realtà. La Ātmā è trikāladarashi, la conoscitrice dei tre aspetti del tempo (passato, del presente e del futuro), ma anche Caitanya (Coscienza), ciò che è testimone di Tutto Ciò Che E'.
Articolo di Alexander-Einar Verdoux.
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