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Una luminosa carriera, interrotta nel momento di maggior lucentezza. E tutto, per una lite dovuta a futili motivi con un narcotrafficante, a Città del Messico. Era il 25 gennaio del 2010 e Salvador Cabañas era appena stato contattato dal Manchester United, per il passaggio sulla riva europea del fiume, quella che molti calciatori sudamericani vedono come il coronamento di una carriera.
Ma a volte il destino fa così, è turbolento e scontroso, e decide di cambiarti la vita in un amen. Quella notte del gennaio di 4 anni fa, l'incontro che trasformò per sempre l'esistenza della stella paraguaiana più luminosa. Incrocia un narcotrafficante messicano, i due si scontrano per chissà quale questione; una lite da bar. Il delinquente non ci pensa due volte e pianta una pallottola nella testa di Cabañas. Il Mondiale del 2010 ci avrebbe messo di fronte proprio l'attaccante paraguaiano. Che non partecipò alla kermesse sudafricana.
Cabañas, da stella del Paraguay a panettiere: addio al Mondiale 2010
Nel girone dell'Italia - gruppo F - c'erano infatti Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda. Per noi, fu comunque un disastro. Il Paraguay, chiuse invece primo nel girone. Ma la vita di Cabañas continuò nella direzione opposta a quella che aveva intrapreso. Un mese di terapia intensiva, una pallottola per sempre piantata nel cranio e una carriera da riprendere in mano. Poi, la decisione di restare nella sua terra, in Sudamerica, dove era considerato un idolo, dopo il Pallone d'oro sudamericano vinto nel 2007 e i due anni da capocannoniere della Libertadores. Ma non sempre le cose vanno nel verso giusto; di nuovo. Abbandonato da tutti (dirigenti, amici e anche l'ex moglie), vengono meno i soldi per sostenere le costose cure per la riabilitazione (qui: Diaby, il calciatore senza stipendio caduto in miseria).
Cabañas, da stella del Paraguay a panettiere: "Ho perso tutto"
L'arrivederci al calcio diventa un addio. Ma Cabañas ha la forza di reinventarsi, di vedere il bicchiere mezzo pieno, anche da una panetteria di periferia, dove oggi lavora, alzandosi ogni giorno all'alba: "Mi piace quello che faccio, la gente mi riconosce e mi fa domande sul calcio. Anche se ho perso tutto, Dio mi ha dato una seconda possibilità. Ma guardare le partite della Nazionale in televisione resta una sofferenza". Come quella di non poter più scendere in campo. Nessuno sembra però essersi dimenticato di lui, neanche i bambini di una scuola calcio in cui ogni tanto fa sosta per tirare calci a un pallone: "Con loro mi sento felice, mi dicono tutti che vorrebbero essere come me". Una forza invidiabile.
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