Caccia al Talento

Creato il 04 maggio 2011 da Fugadeitalenti

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La Festa del Primo Maggio ha riportato in primo piano il tema -centrale- del lavoro. Soprattutto dell’assenza di quello giovanile. Parlarne fa bene, anche se non risolve certo i problemi.

Quello che però colpisce maggiormente è notare come -all’estero- sia già partita la battaglia per accaparrarsi il meglio del cosiddetto “capitale umano”. Mentre in Italia di questo -semplicemente- non si parla.

Prendiamo la recente apertura del mercato del lavoro in Europa, con la caduta delle ultime barriere rimaste per i lavoratori dell’Est: dopo i timori iniziali, Germania e Austria paiono ben contente, a sette anni di distanza, di accogliere forza-lavoro qualificata dai vicini orientali, ora paradossalmente a rischio “brain drain”. Un articolo sul giornale polacco “WProst” presenta somiglianze impressionanti con la situazione italiana: “Chi decide di rientrare in Polonia si pente presto della sua scelta. Perché qui nessuno li aspetta a braccia aperte. Non c’era lavoro quando sono andati via, e non ce n’é al loro ritorno, mentre la loro esperienza all’estero non è considerata molto interessante per i datori di lavoro polacchi”. In quest’ultimo caso, però -a differenza degli italiani- incide negativamente la bassa qualità del lavoro svolto oltreconfine. “Così, molto delusi, ripartono di nuovo“. Ad aspettarli, ci sono Paesi che sanno valorizzare il capitale umano.

Molto più ad Est, Paesi come Cina, Malesia e Singapore sono impegnati da qualche tempo in un’”operazione rimpatrio”, che nel 2009 ha riportato a casa 108mila giovani (nella sola Cina). Non solo, ora i Paesi dell’Estremo Oriente puntano pure ad attrarre “cervelli” dell’Ovest. Barack Obama, che è un uomo intelligente, ha capito il grave rischio che si corre nella “guerra dei talenti”, e corre ai ripari: il 30 aprile ha addirittura chiesto una riforma della legge sull’immigrazione. “Non ha senso espellere giovani talenti dal nostro Paese” – testuale.

E qui, nel Belpaese, che succede? Marco, sul gruppo “La Fuga dei Talenti” di LinkedIn, segnala un bell’articolo di Fabio Scacciavillani sul sito de “Il Fatto Quotidiano”: l’Italia si trova in una situazione insostenibile. Essendo troppo arretrata nelle infrastrutture, disorganizzata, burocratica, caotica e senza risorse per la ricerca, non riesce a competere nella tecnologia e nell’innovazione con i primi della classe. Quindi scivola verso i settori dove i Paesi emergenti hanno un vantaggio comparato, grazie al livello dei salari più bassi. [...] Il sistema Italia è ingessato da decenni, ma con la crisi finanziaria la situazione sta per precipitare. [...] Due alternative: sfruttare quanto più possibile gli impianti e i lavoratori (magari precari) per rimanere a galla. L’altra strada sarebbe quella di recuperare il terreno perso nella ricerca e nell’innovazione, rilanciare la produttività complessiva con nuove infrastrutture e lanciare università di eccellenza, non gli attuali esamifici che sfornano aspiranti burocrati, insegnanti precari, scienziati della comunicazione frustrati“.

Appunto, questa seconda strada, la più difficile, dovrebbe essere al centro delle priorità di qualsiasi Governo. Il quale mostra di avere idee un po’ confuse… quantomeno scoordinate. Da un lato tenta un’iniziativa abbastanza coraggiosa: stanzia 1,7 miliardi per progetti “bandiera” sulla ricerca, cui conta di aggiungerne altri 1,4, portando così la quota di investimenti in R&S sul Pil all’1,13% (dall’attuale -misero- 0,56%). Dall’altro però taglia -con un bel colpo di mano- otto miliardi (otto!) nelle spese per l’istruzione, nell’arco di soli tre anni (stime Def 2011).

Tre miliardi (si spera) in più alla ricerca, otto miliardi in meno all’istruzione: il bilancio non è esattamente in pareggio. Anzi… La guerra per i talenti si combatte investendo in capitale umano. Non disinvestendo.

Qualche dato per chiudere, ancora sui giovani: secondo l’Istat, la crisi ha portato a un fenomeno assurdo, nel Belpaese. Anziché diminuire, è aumentata l’età media dei lavoratori, con un crollo dell’occupazione giovanile: 235mila occupati in meno nella fascia  15-24 anni, quasi 620mila in meno nella fascia 25-34 anni, con un aumento dei lavoratori nella fascia 55-64 anni.

Sentenzia il nuovo presidente dei Giovani Imprenditori, Jacopo Morelli: “Un Paese che rinuncia ad occuparsi dei giovani si condanna alla morte, alla fine“. Il rischio, nelle sue parole, è “quello di rottamare una generazione di giovani“.

Se già non è stata “rottamata”…

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