L’altro giorno abbiamo appreso dalla Nato che 26 aerei russi avevano sorvolato l’Europa dal mar Baltico all’Atlantico, una specie di bollettino di guerra atto a spaventare la “fascia assente” dei cittadini continentali e dare concretezza alla minaccia russa come preparazione per un’eventuale intervento diretto in Ucraina e , come obbiettivo secondario, mettere in crisi l’opposizione alle folli spese militari chieste all’Europa. In realtà, come emerge dai tracciati radar subito richiesti da Mosca, si trattava solo di 7 caccia che volavano nello spazio aereo internazionale sul Baltico e che erano diretti dalle basi nordiche a Kalinigrad, città che fino a prova contraria è in Russia. Per di più si è casualmente trascurato di dire che proprio in quell’area erano in svolgimento manovre Nato dunque in prossimità del territorio russo che in ogni caso giustificavano una reazione di controllo ed è per questo che la sparata dell’alleanza atlantica è rimasta al livello di comunicati stampa e non si è tradotta in nulla di ufficiale. Ci si è limitati a sottolineare il pericolo che i caccia russi costituirebbero per l’aviazione civile: come noi italiani sappiamo bene grazie a 81 morti, i caccia di Mosca sono un pericolo per gli aerei di linea, mentre quelli Nato sono assolutamente sicuri, anzi una mano santa.
I media naturalmente non si sono curati di controllare le litanie che provengono dalla sacrestia del grande sacerdote e in ogni caso fanno così parte del gioco che sarebbero disposti a negare ogni evidenza. Non è un’illazione o un pensiero temerario, è una realtà che anche in altri campi, specie quello economico, è la normalità. Per esempio, dopo il tonfo del primo trimestre, i monatti della democrazia, lanciano odi alla vigorosa ripresa americana, basandosi sue due successivi aumenti del Pil, senza alcuna altra considerazione che ne svela facilmente la falsità. Disgraziatamente il Pil è una misura grossolana che nel caso degli Usa misura solo il consumo delle decine di miliardi al mese pompati dalla Fed (1500 miliardi in totale) più altre azioni estemporanee da migliaia di miliardi.
Si ha una fretta dannata di dimostrare che c’è una ripresa dimenticando altri dati assolutamente necessari: per esempio il fatto che tutt’ora le famiglie americane abbiano un reddito inferiore dell’8% a quello del 2007, attestandosi sui valori del 1994, che le vendite al dettaglio, cioè quelle dei singoli, rimangano ai livelli del punto più basso della crisi, il 2009, con la differenza che la logica del subprime si è spostata dalla casa (che non decolla) all’auto. E’ vero che sono aumentati rispetto al periodo più nero i posti di lavoro: la quasi totalità dei posti riguadagnati è tuttavia di “qualità” assai più modesta rispetto a quella precedente e mediamente prevede salari inferiori della metà. Insomma la situazione economica si deteriora strutturalmente, ma miracolosamente il Pil aumenta in parte grazie alla sottostima dell’inflazione, in altra parte in virtù della manipolazione statistica che in Occidente è ormai la regola da un ventennio e per il resto è frutto dell’ambiguità di fondo di una misura econometrica insufficiente e ingannevole come il prodotto interno lordo. Con l’avvicinarsi delle elezioni di medio termine nelle quali si prevede un tracollo dei democratici di Obama, segno che il Paese è in piena crisi, queste contraffazioni sono state portate all’eccesso nella speranza di simulare una ripresa.
Tuttavia c’è una parte di crescita reale creata dal quantitative easing allargato della Fed che evidentemente finisce in pochissime mani: soprattutto quelle degli speculatori finanziari, quelle dei grandi azionisti delle multinazionali che accedono a prestiti con interessi pari a zero per comprare le loro stesse azioni così da aumentarne artatamente il valore mentre il resto se ne va in maggiori profitti permessi dalla caduta dei salari. Ovviamente il Pil non fa distinzioni, perché misura il consumo di carburante cartaceo, non la strada che si fa e permette di compiacersi di consumare più benzina imballando il motore col cambio in folle. Sono i trucchi di un impero in declino (e delle sue colonie) che ormai cerca nello scontro militare reale o simulato, di creare un nemico esterno per evitare che le persone individuino il loro vero nemico interno.