Nell’Opera “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, l’aria finale del secondo atto recita:
“Egli e’ un’offa seducente, pei guardiani scrupolosi, e’ un sonnifero eccellente, per le vecchie, pei gelosi; dà coraggio alle figliuole, che han paura a dormir sole; svegliarino e’ per l’amore piu’ possente del caffe’.”
Il termine arabo “qahwa” indicava il succo prodotto da alcune bacche scure dall’effetto eccitante e stimolante. Presto da “qahwa” si passò alla parola turca Kahve attraverso un progressivo restringimento di significato, parola che poi, in italiano, è diventata caffè.
Non tutti sanno che attorno a questa bevanda aleggiano molti miti e leggende.
Una di queste narra che il caffè’ sia stato scoperto dall’Imam di un monastero arabo, il quale preparo’ un decotto e lo fece gustare a tutti i monaci del convento, che rimasero svegli senza fatica tutta la notte.
Una più nota storiella racconta invece di Kaddi, pastore arabo, che avendo portato al pascolo le sue capre, notò meravigliato come esse mostrassero segni di eccitamento dopo aver mangiato le bacche di una pianta che cresceva spontanea.
Il pastore non riuscendosi a spiegare l’accaduto, lo sottopose al vecchio abate Yahia il quale, intuendo quali fossero le proprietà della pianta, ne fece una bevanda amara e ricca di calore che rinvigoriva il corpo, liberandolo da sonno e stanchezza.
Qualunque sia la sua origine, i resoconti di molti viaggiatori testimoniano che l’uso del caffè’ fosse piuttosto diffuso in tutto l’Oriente Islamico già alla fine del XVI secolo.
Nel teatro, nella musica e nell’arte è da sempre stato menzionato. Lo raffigura Manet nell’opera Coppia al “Pere Lathuille”. Il caffè’ non manca nemmeno in uno dei numerosi schizzi di Scipione Vannutelli, disegnatore ed apprezzato pittore romano attivo nella seconda meta’ dell’Ottocento. Raffinato ed elegante è il caffè dipinto dall’impressionista francese Renoir in “Alla fine della colazione”.
Personalmente posso dire di aver imparato ad apprezzare questa bevanda solo di recente, quando un sommelier, con accurata delicatezza, mi ha insegnato ad assaporarlo amaro.
Non ha preteso che eliminassi lo zucchero da subito ma mi ha consigliato di versare nella tazzina un po’ di zucchero e di non girarlo con il cucchiaino. Avrei dovuto muovere la tazzina in senso circolare in maniera che lo zucchero togliesse solamente l’amaro di fondo ma non ne alterasse l’aroma.
Per qualche tempo così ho fatto poi, senza nemmeno accorgermene, ho iniziato a berlo completamente amaro e devo dire che non potrei più farne a meno.
Recentemente ho visitato Budapest e sono rimasta colpita piacevolmente dai suoi bistro.
L’Ungheria conserva una tradizione di caffè letterari che non hanno nulla da invidiare a quelli viennesi.
Fin dai primi dell’Ottocento intellettuali, scrittori ed artisti avevano l’abitudine di incontrarsi nei caffè. In alcuni, talvolta, avevano sede addirittura le redazioni di riviste periodiche.
Dopo un declino subito nella seconda metà del Novecento, oggi hanno riacquistato fascino ed importanza per gli ungheresi.
Moltissimi sono i bistro dal sapore coloniale, con divani in pelle, grandi ventagli in foglie di palma, mensole piene di libri di ogni genere e musica rilassante in sottofondo. Sono luoghi dall’atmosfera elegante in cui riposarsi e riscaldarsi durante le rigide giornate invernali.
Senza rinunciare ad un delizioso ed aromatico caffè che, ho scoperto, non sono capaci a fare solamente gli italiani.
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