Caffè scientifico: note di un secondo incontro

Creato il 23 agosto 2012 da Lucy
L'autonomia del pensiero scientifico nella democrazia moderna (2 Luglio 2012)
La seconda edizione del caffè scientifico ha come ospiti Riccardo Barberi, Professore Ordinario di Fisica Applicata, Delegato del Rettore per la Ricerca e il Trasferimento Tecnologico e Coordinatore dell'Ufficio per il Trasferimento tecnologico (Liaison Office) all'Università della Calabria e Vincenzo Bruno, PhD in Fisica, esperto di innovazione tecnologica nelle filiere agroalimentari, e fondatore, nel 2001, del Cosenza Linux User Group, dell'Hacklab Cosenza (2004) e della Coopyleft (2010); ideatore della prima edizione della Conferenza Italiana sul Software Libero, tenutasi a Cosenza nel 2007.  
L’articolo 33, 1º comma, della Costituzione sancisce: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Legge il prof. Barberi, introducendo il rapporto fra pensiero scientifico e costituzione. Ma fino a che punto può essere vera l’affermazione contenuta nel primo comma dell’articolo 33? In sede di Assemblea Costituente fu sollevata la questione della inutilità del comma 1 in quanto, sia arte che scienza sono per definizione libere o, per meglio dire, incarnano esse stesse la libertà. La formula rimase comunque invariata perché fu considerata una valida garanzia della “libertà di manifestazione concettuale e, al tempo stesso, della effettiva libertà della manifestazione organizzativa e strumentale dell’insegnamento” (simonescuola).
Ma che cos’è la scienza? Difficile rispondere senza scomodare filosofi ed epistemologi di ogni epoca. Sul dizionario (Devoto-Oli) si definisce come “il risultato delle operazioni del pensiero, in quanto oggetto di codificazione sul piano teorico e di applicazione sul piano pratico”; difficile capire cosa voglia dire. Wikipedia riporta questa definizione: “per scienza si intende un sistema di conoscenze, ottenute con procedimenti metodici e rigorosi e attraverso un'attività di ricerca prevalentemente organizzata, allo scopo di giungere a una descrizione, verosimile e oggettiva, della realtà e delle leggi che regolano l'occorrenza dei fenomeni”. Una definizione del pensiero scientifico un po’ più apprezzabile è stata fornita da Carlo Rovelli: “il pensiero scientifico è un pensiero visionario, che ridisegna ripetutamente (e instancabilmente) il mondo, e un pensiero critico, che mette sempre in discussione le idee dei "vecchi della tribù" e ogni pretesa di avere già la verità finale. La scienza non si nutre di certezze: si nutre di una consapevolezza acuta della nostra profonda ignoranza”. (clic).
Si può sommariamente concludere che “scienza è sapere” e, per quanto riguarda la conoscenza, è “sapere ciò che non si sa”.
Un altro spunto arriva dal filosofo austriaco Karl Popper. Il pensiero popperiano (falsificazionismo) può essere sintetizzato con questa celebre affermazione: “Una teoria è scientifica nella misura in cui può essere smentita”. Una frase sintetica che suggerisce un criterio per discriminare le discipline scientifiche da quelle pseudo-scientifiche: mentre le prime si basano su affermazioni che possono sempre essere sottoposte, in linea di principio, a falsificazione empirica, le seconde sfuggono a ogni tentativo di falsificazione.
Il criterio di falsificazione è stato spesso visto come il punto debole della scienza; una conoscenza mai assoluta e definitiva, ben diversa dalle verità eterne della religione. Parimenti Popper si dichiarava contrario al metodo induttivo poiché crea condizionamenti, come esemplificato nell'aneddoto del tacchino induttivista: Un tacchino, in un allevamento statunitense, decise di formarsi una visione del mondo scientificamente fondata.
«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Purtroppo, però, questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.» Una cattiva interpretazione del principio di falsificazione è servita alle pseudoscienze per dare voce alle idee più assurde. C'è chi dice che la Terra sia piatta. Sembrerà pazzesco ma esiste ancora una società, la Flat Earth Society, fondata nel 1956 da Samuel Shenton, membro della Royal Astronomical Society, che a dispetto delle innumerevoli prove ormai inequivocabili (le ultime sono state fornite dalla Nasa negli anni '60) propugna, malgrado tutto, le stesse teorie. A proposito delle fotografie della Terra vista dallo spazio, Shenton commentò: “È chiaro che una foto simile possa ingannare un occhio inesperto”. La posizione della Società fu che il programma spaziale non era altro che una montatura e gli sbarchi degli astronauti sulla Luna erano una finzione cinematografica finalizzata a ingannare l'opinione pubblica con la falsa idea di una Terra sferica. Questa teoria del complotto ebbe un certo successo anche tra persone che non aderivano alla teoria della Terra piatta, e la diatriba fra complottisti e non che ne derivò è ancora ben lungi dall'essere risolta. Si tratta di un problema che è stato affrontato anche dal noto scrittore di fantascienza Isaac Asimov, in un famoso racconto che ci viene suggerito, “La relatività del torto”.
“...Qualche tempo fa ho ricevuto da uno dei miei lettori una lettera scritta a mano con pessima calligrafia. Mi sono comunque sforzato di decifrarla, nel caso contenesse qualcosa di importante. Nella prima frase, dichiara di essere un laureando in letteratura inglese, ma di sentirsi in dovere di darmi una lezione di scienze (sospiro, perché conosco pochi laureati in letteratura inglese che possano insegnarmi qualcosa di scientifico, ma continuo a leggere, conscio della mia ignoranza e pronto a imparare da chiunque indipendentemente dalla sua qualifica).
Pare che in uno dei miei innumerevoli scritti io abbia espresso qui e là una certa soddisfazione per il fatto di vivere in un secolo che ha raggiunto una corretta comprensione delle basi dell’universo. Senza entrare nel merito, mi limitavo a dire che oggi conosciamo le leggi fondamentali che regolano l’universo e le interrelazioni gravitazionali tra i suoi componenti più importanti, come mostrato dalla teoria della relatività elaborata tra il 1905 e il 1916. Conosciamo anche le leggi basilari che governano le particelle subatomiche e le loro interrelazioni, chiaramente descritte dalla teoria dei quanti elaborata tra il 1900 e il 1930. Inoltre, tra il 1920 e il 1930, abbiamo scoperto che le galassie e gli ammassi di galassie sono le unità di base dell’universo. Tutte queste scoperte sono avvenute nel XX secolo.
Il giovane specialista in letteratura inglese, dopo aver citato qualche mia frase, passava severamente a rendermi edotto del fatto che in ogni secolo la gente ha creduto di aver compreso definitivamente l’universo, e che ogni volta si è dimostrato che aveva torto.
....
Questo argomento, in particolare, mi era stato proposto un quarto di secolo prima da John Campbell, specialista nell’irritarmi. Anche lui sosteneva che tutte le teorie si sono rivelate errate nel tempo. La mia risposta era stata: «John, quando la gente credeva che la Terra fosse piatta, aveva torto. Quando credeva che fosse sferica, aveva torto. Ma se tu credi che ritenere la Terra sferica sia altrettanto sbagliato che ritenerla piatta, allora il tuo punto di vista è più sbagliato di tutti e due i precedenti messi insieme». Vedete, il problema di fondo è che la gente pensa che “giusto” e “sbagliato” siano termini assoluti, che ogni cosa che è non perfettamente e completamente giusta sia totalmente e ugualmente sbagliata. Io non la penso così. Mi sembra che ragione e torto siano concetti complessi e che valga la pena di dedicare questo scritto alla spiegazione del mio punto di vista. ...” Tratto da Isaac Asimov. «The Relativity of Wrong», in The Skeptical Inquirer, Vol. 14, n. 1, 1989, pp. 35-44; traduzione di Maria Turchetto (clic).
Un altro punto interessante, affrontato durante il corso di questo secondo caffè scientifico, è il difficile rapporto tra scienza e regimi totalitari. Il prof. Barberi suggerisce la lettura di un bellissimo brano intitolato: “L'universo secondo Stalin” di Marco Fulvio Barozzi.
“Era dovere di ogni sovietico difendere la purezza della dottrina Marxista in qualsiasi campo della scienza”. Una visione ben distante dalla libertà del pensiero scientifico, e pur trattandosi di marxismo, si trattava né più né meno di una posizione di stampo fideistico-religioso. Nel periodo fra il 1946 e la morte di Stalin, nel 1953, nell'Unione Sovietica, tutte le scienze furono asservite al controllo politico. Andrei Zdanov, il principale ideologo di Stalin, aveva il compito di purgare la scienza sovietica dalle idee pericolose. In particolar modo, l’astronomia e la cosmologia, venivano tenute sotto stretta sorveglianza.
“L’ortodossia della cosmologia nell’URSS nel primo decennio della Guerra Fredda può essere sintetizzata in cinque punti: 1.L’universo è infinito sia nello spazio sia nel suo contenuto di materia; 2.L’universo è eterno: non ci fu mai un inizio e non ci sarà mai una fine; 3.Nell’universo solo la materia e le sue manifestazioni sotto forma di moto ed energia possiedono una reale esistenza; 4.La verità delle teorie cosmologiche dovrebbe essere giudicata sulle basi della loro corrispondenza con le leggi della filosofia dialettico – materialistica; 5.I redshift delle galassie non indicano affatto che lo spazio cosmico sia in espansione, ma varie possono essere le spiegazioni.” Vedi: L’universo secondo Stalin di Marco Fulvio Barozzi. Zdanov accusò la cosmologia occidentale di essere segretamente religiosa; riferendosi agli scienziati reazionari, primo fra tutti il sacerdote cattolico Lemaitre, affermava che: “i falsificatori della scienza vogliono far rivivere la favoletta dell’origine del mondo dal nulla …”. Il Big Bang ricordava la creazione descritta nella Bibbia, quel “fiat lux” che dava un inizio ad un universo non infinito e non eterno, a netto contrasto con la visione offerta da Engels (anche la Cina ha sofferto di questa dottrinizzazione della scienza; basti pensare al caso Fang Lizhi) secondo la quale l'universo è stato e sarà sempre, quindi, è eterno.
Il rapporto con la religione è un altro aspetto delicato che potrebbe essere risolto considerando che scienza e fede si occupano di due diversi aspetti del sapere; la prima non è mai alla ricerca di verità assolute, semmai di comprensione e descrizione di ciò che i nostri sensi avvertono. Due mondi che dovrebbero rimanere separati e che però si scontrano quando si tenta di mettere sullo stesso piano teoria evoluzionista e creazionismo oppure quando si cerca di "moralizzare" la ricerca, soprattutto nel campo della medicina e della genetica. Senza scadere nello scientismo, evitando cioè un atteggiamento troppo fideistico nei confronti degli scienziati, si può comunque affermare che la scienza ci può aiutare a costruire un futuro desiderabile. Vincenzo Bruno si propone con una teoria che affascina e intriga, riguardante l'importanza di una adeguata cultura scientifica e tecnologica, in quanto necessaria a migliorare grandemente la qualità dell'esistenza, lanciando al tempo stesso l'idea di orientare verso nuovi usi la tecnologia al fine di migliorare il funzionamento della stessa democrazia. Una “do-cracy”, prendendo in prestito un concetto lanciato dal Debian Project, che non va di certo confusa con la tecnocrazia, un ipotetico governo di super-esperti in materie tecno-scientifiche, ma che va piuttosto associata a una evoluta forma di meritocrazia che niente ha a che fare con caste e lobbies.
A conclusione di questo secondo incontro si ripropongono concetti e visioni già parzialmente proposti nel primo; e cioè che nel nostro Paese manca una adeguata cultura scientifica, con tutte le negatività che da essa possono derivare, ossia una certa difficoltà nel distinguere e catalogare le informazioni che ci giungono tramite i media (e qui ritorna la confusione che spesso si fa tra scienze e pseudoscienze) e a volte una certa inettitudine nel dominare una tecnologia che si evolve sempre più rapidamente.
L'altra considerazione riguarda il fatto che la ricerca non è libera. I pochi finanziamenti il più delle volte vanno a premiare ricerche in cui si vede un immediato tornaconto per la società, senza considerare che è quasi impossibile prevedere i risvolti a lungo termine di un qualsiasi studio. Un esempio è quello della matematica Ada Lovelace (1815-1852), autrice di un algoritmo che fu poi considerato il primo programma per computer della storia, mentre le problematiche legate ai bassi compensi destinati agli scienziati pare che siano sempre esistite.
A dispetto della sua esiguità, la paga galileana era tuttavia in linea con i compensi generalmente conferiti ai professori di matematica. Retribuzioni di 45 o 50 scudi costituivano quasi la norma per i docenti all'inizio della carriera, e, a riprova di come la matematica non giocasse un ruolo fondamentale nell'ambito dell'ordinamento universitario del tempo, basti ricordare che il predecessore di Galileo, il monaco camaldolese Filippo Fantoni, percepiva, dopo quasi un trentennio di insegnamento solo 125 scudi 'per annum'. L'insegnamento della matematica a Pisa, come, del resto, nelle altre università italiane, era tutt'uno con quello dell'astronomia, e gli stessi professori venivano, sia negli Statuti che in altri documenti dello studio, indifferentemente qualificati come 'mathematici' o come 'astronomi' (o 'astrologi'). In effetti il motivo fondamentale della presenza di un insegnamento matematico nel curriculum studiorum della Facoltà delle Arti era rappresentato dalla esigenza di dotare i medici di conoscenza astrologiche, ponendoli così in grado di determinare con sicurezza i "giorni critici", cioè quei momenti che, secondo l'impostazione galenica, potevano segnare una svolta nel decorso della malattia.”
M. Camerota, Galileo Galilei e la cultura scientifica nell'età della controriforma, Salerno Editrice, p. 56. (lfns.it) Libri e letture proposte
- Interviste: Karl Raimund Popper - Il metodo ipotetico deduttivo (http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=78)
- Interviste: Karl Raimund Popper - Il falsificazionismo (http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=365) - Cattiva maestra televisione di Karl R. Popper e John Condry - The Relativity of Wrong, in The Skeptical Inquirer, Isaac Asimov
 
- L’universo secondo Stalin - Marco Fulvio Barozzi


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