La mezza stagione (alla faccia di chi la dava per spacciata) imperversa. Un giorno il sole ti prende a martellate in faccia, quello seguente piove tutto quello che può di acqua e di ghiaccio.
Oggi è grigio.
Grigio-grigio, SENZA sfumature.
Per tenere a bada l’ansia da trasloco provo nuove ricette e rimescolo quelle vecchie per finire gli avanzi.
Io poi ho un senso dell’economia sviluppatissimo. Se mi avanza un cartoccio di panna del quale non so che farmene piuttosto che buttarlo compro uova, farina, burro e ci faccio un altro dolce.
Quando mi chiedo se ho risparmiato o rimesso la risposta è incerta.
Però non posso buttare, buttare il cibo mi fa star male.
“Perché tutti questi vestiti invernali, porca miseria? Perché non li ho portati a Roma nell’ultimo viaggio?”
“Perché a ottobre non si sa, a volte fa caldo a volte freddo. E se tenevo i vestiti sbagliati?”
“Ah. Vabbè, ma tenerli tutti…..!!!”
Anche voi parlate da soli quando fate scatoloni per il trasloco? E vi rispondete anche? Andiamo bene!
Comunque non fa ne freddo né caldo: è grigio.
Piatto.
E senza sfumature.
Mi sembra di essere indietro con tutto, guardo la lista delle cose da fare e sono tutte ancora da fare.
Attacco il mantra “porca miseria” modulando diverse sfumature, tutte portatrici sane di sconforto.
Ci vuole una cosa semplice e rassicurante. C’ho la panna da riciclare. Ricettina semplice per la colazione, senza burro.
Batto le uova con lo zucchero anche se mi sembrava che le uova mi servissero a qualcosa…che però ora non ricordo….poi…..zucchero….muscovado.
Và!
“Ma magari ‘sta roba la butto. Oppure la lascio qui. A Roma mi ritroverei tutto doppio”
“Ah no, poi se mi serve e la devo ricomprare un’altra volta?!”
“Ma quando mai! Uffa. Pesa. Ingombra. Non ce la faccio!”
Sulle uova gonfie aggiungo la panna e la farina. Alternando. Poi affetto le mele.
Cinquanta sfumature di panna, cinquanta sfumature di zucchero.
E una mela.
Gialla.
“Lo scotch non mi basta e poi questo qua secondo me non va neanche tanto bene. Pensa se mi si sventrano gli scatoloni mentre li trasporto?” All’idea mi metterei già a piangere da ora, così, preventivamente.
“Sai che faccio? Io i vestiti li sbatto tutti dentro le buste condominiali della spazzatura. Quelle nere.
Una roba da sfollata, ma che me ne importa? Le comprimo anche meglio in macchina, piuttosto che le scatole.”
A riprova che sono più chip che chic.
Mi faccio tristezza da sola.
Imburro la teglia, spolvero con zucchero semolato e dispongo le mele sul fondo.
Quanto lievito? Io che odio il lievito! Vabbè, mezza bustina.
Và!
Forno a 200°, lo abbasserò dopo aver infornato, dopo una decina di minuti.
“Per fortuna le scorte di saponi, detersivi e approvvigionamenti per la casa sono esauriti, meno peso e meno ingombro. Però la tavola da stiro, oddio!!!!! Ma dove la infilo questa?!
La lettiera del gatto? Mannò, questa butto.
Dai.
Il mocio è da buttare e a scopa pure.
E i secchi?
Tutti ‘sti secchi. Qui se piove servono eccome ma a Roma mica mi piove in casa.
Questo secchiello fucsia però, quant’è carino, con le sue sfumature rosa!”
Impasto sodo, a nastro, gonfio, pronto. Verso sulle mele e inforno.
La partenza.
Partire è un po’ morire, no?
Ma mi viene in mente che a Roma c’è quel lettone comodo, comodo e no questa ciofeca scricchiolante e poi a Roma la lavatrice è accanto al bagno e no due piani sotto e poi a Roma non c’è tutta questa polvere in casa che non la scopi via manco con gli anatemi e la macumba.
A Roma però te lo sogni di parcheggiare sotto casa e di scendere giù e farti due chiacchiere con chiunque incontri che tanto conosci tutti e poi a Roma è impossibile proprio che fai la spesa al supermercato e mentre la imbusti con il tempo che ci vuole la cassiera ti sorride e gli altri in fila aspettano sereni: a Roma se fai così la cassiera ti spara in bocca e gli altri ti camminano sopra, a Roma devi afferrare tutto e correre via veloce, mani alle buste e portafoglio in bocca, via, levarti dalle balle il più velocemente possibile.
A Roma non c’è il fiume. Beh, no, a Roma un fiume c’è, ma io non ci abito sopra e poi non è uguale.
A Roma è marrone.
Il cake cresce. Proprio come si conviene a una brava pasticcera.
Ma in fondo città o campagna che importa. Guarda come ci si sente vivi a far scatoloni.
E senti come si rassodano i glutei!
Stamattina, in strada, sono caduta in una buca e mi sono storta una caviglia. Una signora gentilmente mi ha soccorsa e mi ha offerto del ghiaccio.
Anche a Roma una volta sono caduta in una buca e mi sono storta una caviglia. Due passanti mi hanno soccorso e mi hanno aiutato a salterellare fino a casa.
In fondo città o campagna poco importa. Le mie belle figure di cacca le faccio ovunque.
E ovunque si può trovare qualcuno che ti soccorre.
Ovunque è un bel posto, dopotutto.
Preparo una tazza di the e prendo una fetta di cake.
È buono.
È semplice, una cosa da niente. Mi piacciono le cose da niente, semplici come un sorriso, come una passeggiata in campagna o come rimanere a bocca aperta davanti a Trinità dei Monti.
Semplice come cadere in una buca, che per me è praticamente routine.
Prendo il quadernetto dove segno le ricette improvvisate che mi sono piaciute per scrivere questa e l’occhio mi cade su una che ho chiamato “Cake di avanzi”. È praticamente lo stesso cake che ho preparato adesso tranne due sghiribizzi: lo zucchero muscovado e le mele.
Il cake degli avanzi! Massì, quello che feci un po’ a casaccio quella volta che mi era rimasto un cartoccio di panna in frigo!
Mi si è scaricata la fantasia, ho re-inventato di nuovo lo stesso cake! Sono incerta tra la delusione e la sorpresa di aver ritrovato una me del passato, un salto nel tempo e nella farina.
Tutto bianco, bianco, biancoooooo!
Sai che? Ora che ho la mia tazza di the fumante e la mia bella fetta di torta lascio perdere gli scatoloni e mi sciolgo nel divano con un libro che è una delle cose al mondo che più mi rende felice.
E rotolano storie, si mischiano al canto del fiume. Nera la notte e rosso il sangue. Giallo il sole, verde le risate e indaco. Come la felicità. E di tutti i colori del mondo conto innumerevoli sfumature: di dolore e di rabbia, di stupore e meraviglia, sfumature d’amore e di odio e vita infinita.
Che io di cinquanta sfumature soltanto non so che farmene e tre colori mica mi bastano.
ecco due (e vabbene, solo due) sfumature di cake
Prima versione: Cake panna e rum
300g di panna
300g di farina
3 uova
200g di zucchero
un tappo di rum
½ bustina di lievito
Vaniglia
Seconda versione: Cake panna e zucchero muscovado
250g di panna
250g di farina
100g di zucchero muscovado
3 uova
½ bustina di lievito
(nessuna aroma aggiunto perché lo zucchero muscovado è già molto aromatico)
Una o due mele (tipo golden o altra qualità purché molto dolce)
Procedimento
Montare le uova con lo zucchero quindi unire a poco a poco la panna alternando con la farina setacciata. Continuare a montare finché il composto è ben montato ed omogeneo infine unire il lievito e versare nello stampo. Nella seconda versione ho disposto sul fondo dello stampo una mela tagliata a fettine sottili.
Il gesto furbo
Imburrare lo stampo e spolverare con zucchero semolato.
Conservare in frigo al riparo dagli odori molesti.
OUTING
Cake sarebbe quello che chiamavamo ciambellone prima che cucinare diventasse roba da vip e star della televisione. Per me scrivo “cake” perché si fa prima, sul blog scrivo “cake” perché va di moda e si usa così. Anche se, a dire il vero, mi sentirei meno pirla a chiamarlo, in pubblico, semplicemente ciambellone, per quel che è insomma.
Il libro che sto leggendo è:
Che avevate capito?!!!!!