
Tra un discorso e l’altro il tempo vola e alcuni avventori cominciano in buona parte a lasciare il locale.
Lo stesso suonatore di jazz ha smesso da un pezzo con i suoi virtuosismi e ha deposto il sassofono.
Solo il fumo nell’aria, nonostante le ventole e un condizionatore decisamente datato, si taglia a fette.
Henning volentieri s’intrattiene con Zoe, che gli ricorda nella statura e nel colorito dell’incarnato le donne delle sue parti, di cui forse ha nostalgia.
E poi l’infermiera, per essere una donna, diciamo pure che non disdegna il bicchiere facile ,che le scioglie la lingua e la rende molto loquace e meno sulle sue del solito.
Kurt, invece, è nervoso in quanto vorrebbe porre lui domande dirette ma Henning al momento lo dribbla a ripetizione.
E padre Alex ha capito che si tratta solo di un abboccamento e che, più avanti nei giorni, sarà forse possibile saperne di più.
Le battute a doppio senso si sprecano tra lo scrittore e la femmina germanica e i freni inibitori di entrambi sono, come immaginabile, un po’ troppo allentati.
C’è di certo che Zoe sa più di quanto non dia a vedere.
E allude con Henning a dei giovani medici cinesi, giunti da poco all’ospedale di Dar es Salaam, capitanati da un professore, cinese anche lui,che gestisce con questi un laboratorio di ricerche e tiene dei corsi.
Ma potranno parlarne un'altra volta. Con calma e magari un po’ più lucidi.
Henning mi accompagni-chiede Zoe all’improvviso – mezza barcollante e alzatasi di scatto e con scarso equilibrio dalla sedia.
Henning fa cenno di sì col capo e le passa un braccio intorno alle spalle.
E lei si appoggia all'uomo,poggiando il viso contro il petto di lui come chi cerca protezione.
E, allora, padre Alex , che ha capito, decide di accompagnare Kurt al suo cottage per poi proseguire per Bunju.
Mentre i due, l’uomo e la donna, si allontanano, per conto proprio, col fuoristrada di Henning.
Sulla porta di casa, in una viuzza stretta, non distante dall’ospedale, Zoe invita l’uomo a salire.
E Henning la segue su per ripide scale maleodoranti di una vecchia palazzina,introducendosi in una stanza ampia ma molto disordinata, al centro della quale troneggia un letto matrimoniale disfatto e ricoperto dalla classica zanzariera.
Non fanno a tempo entrambi neanche a liberarsi degli abiti che crollano sul lettone. Ed è subito sonno profondo.
Sonno che li ritroverà bisognosi con urgenza di una doccia fredda alle prime luci dell’alba che, come in questo caso, e in particolare in Africa, non tardano ad arrivare.
Infatti, nella via sottostante, è già daun pezzo un vociare di persone e di suoni di clacson.
(continua...)
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)





