1987-1991, quattro anni nei quali Arrigo Sacchi sedette sulla panchina del Milan, portando i rossoneri sul tetto del mondo per ben due volte. Per il calcio italiano si trattò di una vera e propria rivoluzione, era il Milan degli olandesi, di Baresi e di Carlo Ancelotti. L'autore Jvan Sica, racconta nel suo ultimo romanzo "Arrigo, la storia, l'idea, il consenso, la fiamma" (2014, Edizioni in CONTROPIEDE) l'esperienza di Sacchi come allenatore del Milan, fino al suo approdo sulla panchina della nazionale. Per la rubrica Calcio Sfogliato abbiamo intervistato l'autore
Sacchi ha rivoluzionato il modo di fare calcio, ma non ha un passato da giocatore professionista, come molti dei suoi colleghi, proprio in questo sta la sua genialità. Quali erano i suoi modelli di riferimento?Per scrivere il libro ho letto tanto di Sacchi e molto ho immaginato, proprio perché non ha avuto per tanti anni una vita pubblica raccontabile da qualcuno. In questo senso risponderei alla tua domanda, parlando prima di tutto di un riferimento non calcistico: di sicuro il padre, che da un piccolo paese era riuscito a commerciare scarpe con persone di tutto il mondo. Per quanto riguarda il calcio, i viaggi proprio insieme al padre a Monaco di Baviera ed Amsterdam per studiare il Bayern e l'Ajax degli anni '70 sono stati fondamentali.
Vincere e convincere, si può dire che sia stato questo il credo di Arrigo, vincere imponendosi sull'avversario con il bel gioco. Recentemente l'ex allenatore del Milan ha accusato Mancini di praticare "un gioco vecchio" (anche se vincente per ora). Il che mi ricorda l'episodio che descrivi nel tuo libro quando Sacchi durante i corsi di Coverciano criticò aspramente il modo di giocare delle italiane. Quale è la tua posizione in merito? Negli ultimi anni c'è stata una involuzione sotto il profilo del gioco espresso?L'involuzione è sotto gli occhi di tutti ma quello che vediamo in Italia è più che altro un nuovo modello del gioco all'italiana. Da tanti anni giochiamo in questo modo e Sacchi lo ha sempre criticato. Prima però vincevamo con gli Zidane, gli Shevchenko e i Thuram, la Grecia vinceva un'Europeo nel 2004 e noi parlavamo di tradizione. Oggi perdiamo e parliamo di involuzione. Mi sa però che nel frattempo c'è stata una rivoluzione, perché difficilmente una squadra vincente in futuro può fare a meno del possesso palla. Guardiola e il suo tiki taka ci costringerà a cambiare.
Il tuo libro si concentra sul periodo in rossonero di Sacchi, con il quale ha vinto uno scudetto e due Coppe Campioni consecutive, a tuo modo di vedere quale è stata la partita o il periodo simbolo di quel Milan?La partita più importante del Milan di Sacchi è stata la prima doppia sfida in Coppa dei Campioni contro il Malines. E' stato un momento fondamentale perché il Malines fu la prima squadra che dimostrò di aver capito come era battibile quel Milan. Torniamo all'oggi per capire meglio. Immagina il Barcellona che si trova di fronte una squadra che ha un possesso palla di qualità come quello blaugrana e vuole avere un possesso palla più prolungato rispetto al Barcellona. Per i calciatori, Luis Enrique e i tifosi la partita diventa una sfida per superarsi. E proprio questo è stata quella doppia sfida con il Malines. Un momento in cui Sacchi e il Milan sono evoluti, ma non a tavolino o in allenamento, direttamente in campo.
Il calcio come esercizio di perfezione, come descrivi, Sacchi era un maniaco del dettaglio, intransigente, non ha mai rinunciato alla propria idea di gioco, non è mai regredito ad una forma "vecchia" quando gli avversari hanno iniziato ad imitarlo, era diventata una sfida contro se stesso più che con gli altri. Credi sia stata questa una delle ragioni principali per la quale ha lasciato la panchina rossonera?
Penso che la squadra non sopportasse più quella tensione alla perfezione di cui hai parlato. Un po' di calciatori hanno parlato con Berlusconi, dicendogli chiaramente che avrebbero potuto vincere anche senza Sacchi, ormai erano di un altro pianeta. Berlusconi ci ha creduto e alla fine hanno avuto ragione un po' tutti.
Non solo scrittore, hai anche collaborato alla rappresentazione teatrale di Buffa sulle olimpiadi del 1936, come è stato lavorare con l'avvocato?Parli con Federico per sessanta secondi e ti ritrovi sudato. Il tempo di vita è meravigliosamente intenso quando sei con lui. E se non sei allenato ti viene il fiatone
Calcio Sfogliato: Jvan Sica racconta "Arrigo" ultima modifica: da