Calcioitalia all'anno zero: disastro europa league, non ci resta che la juventus

Creato il 21 marzo 2014 da Carloca
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Cadono come mosche. In quella che, negli auspici, doveva essere la stagione del riscatto italiano in Europa League, il contingente nostrano si ritrova già ridotto ai minimi termini. A ottavi di finale completati, ossia quando i giochi veri devono ancora cominciare, resta in corsa solo la Juventus, la cui qualificazione non può oltretutto essere parametro attendibile circa la competitività internazionale dei bianconeri, essendo giunta, e con non poca fatica, ai danni di un'altra compagine tricolore, la Fiorentina. Per il resto, il battaglione dipinto come agguerritissimo è stato polverizzato da una concorrenza tutt'altro che irresistibile, assumendo le patetiche sembianze di una improbabile armata Brancaleone. Fuori già nel turno precedente la Lazio, estromessa (una sconfitta e un pari) dal modestissimo Ludogorets, del quale il Valencia si è poi disfatto senza soverchie difficoltà; fuori, come detto, i viola di Vincenzo Montella, che pure sono considerati i fautori della manovra dal tasso estetico e qualitativo più elevato della nostra Serie A; ultimo della tremenda serie, fuori il Napoli, incapace di venire a capo di un Porto dalle misure tecniche non certo eccezionali. SEMPRE PEGGIO - Un disastro, un disastro pressoché assoluto. Da anni cerchiamo pazientemente, nelle pieghe delle competizioni europee per club, un segnale che possa far sperare in un'inversione di tendenza. E i segnali ogni tanto arrivano, per la verità: in Champions League, l'anno scorso, ci fu il discreto percorso della Juventus, arresasi al Bayern nei quarti dopo brillanti affermazioni su Chelsea e Shakthar; e i partenopei di Benitez, sempre nel torneo più importante, pochi mesi fa si sono resi protagonisti di un turno preliminare per certi versi esaltante, ma sfortunatissimo. Ma si è trattato di exploit del tutto effimeri, che sono stati, anzi, il preludio a ulteriori passi indietro. L'Europa League continua ad essere una manifestazione inspiegabilmente ostile ai colori italiani: non ci resta che la Juve, e la Vecchia Signora ha a questo punto il dovere morale di puntare dritta alla finalissima, non solo perché ad ospitarla sarà il suo stadio di casa. Vincere l'ex Uefa, precisiamolo, non basterebbe a cancellare anni e anni di figuracce ed eliminazioni delle nostre spaurite portacolori, ma porrebbe comunque un freno a una caduta che sembra inarrestabile, e potrebbe fungere da esempio per un diverso approccio, nel futuro, a questa competizione. LA CRISI PIU' GRAVE - Fiorentina semifinalista nel 2008, eliminata ai rigori dai Rangers di Glasgow: da allora, nessun club italiano si è più spinto così avanti in Europa League. Uno scempio, un'offesa a un palmarés nemmeno tanto datato, che racconta di un football tricolore a lungo dominatore nel torneo, in qualche caso addirittura con finalissime "fratricide". Spesso, negli ultimi anni, son stato io il primo a dire che nel calcio esistono i cicli vincenti e quelli di recessione, che una fase più o meno prolungata di appannamento può capitare a ogni nazione, ma qui si sta esagerando. I tempi si allungano e l'uscita dal tunnel, invece di avvicinarsi, si allontana sempre più. Il calcio italiano è ridotto a provincia dell'Impero europeo: in entrambe le manifestazioni, le semifinali e spesso persino i quarti ci sono negate sistematicamente. E' una crisi più grave di quelle attraversate in altre epoche dal nostro movimento (fine anni Settanta - primi Ottanta, fine anni Novanta - primi Duemila), perché il tempo non gioca a nostro favore:  i tre Paesi guida corrono a ritmi elevatissimi,  e nella classifica Uefa hanno accumulato su di noi dei vantaggi abissali; altre nazioni un tempo in soggezione nei nostri confronti sono ora in crescita continua: una di queste è il Portogallo, e il fatto che il Porto abbia appena eliminato il Napoli è un'ulteriore brutta notizia per il nostro ranking, sempre più esangue. E' una crisi grave e pericolosa perché, per quanto causata da fattori in buona parte noti da anni, sembra lasciare indifferenti i padroni del vapore. E, al contrario di quanto accaduto in occasione di altre congiunture a noi sfavorevoli, questa volta i difetti sono endemici e radicalizzati, non facili da estirpare in tempi brevi: la precarietà dell'organizzazione complessiva e della tenuta economica del sistema, lo spazio sempre più esiguo concesso ai giovani del vivaio nazionale, l'impoverimento tecnico degli organici con conseguente calo qualitativo del gioco sono vulnus eliminabili solo attraverso interventi strutturali ed un cammino lungo e doloroso, del quale peraltro non è ancora stato dato il calcio d''inizio.
Non sarebbe nemmeno giusto sorvolare sulla posizione di subalternità economica del nostro calcio nei confronti di Germania, Spagna e Inghilterra, perché in fondo è anche quella una colpa: istituzioni e dirigenti non hanno saputo cogliere i radicali mutamenti di questo sport, mettere mano a strutture organizzative e modalità operative che in breve si sono rivelate obsolete, e i nuovi investitori si sono rivolti altrove, laddove un tempo l'Italia era il Bengodi del pallone. Ma per il momento non parliamone, e pensiamo agli aspetti più strettamente tecnici, prendendo come paradigma proprio il match del canto del cigno napoletano, stante, come detto in apertura, l'inattendibilità del derby italiano Fiorentina - Juve come unità di misura dello spessore internazionale dei nostri club.
                                Benitez: questa volta il suo spessore europeo è stato inutile
LE LACUNE DEL NAPOLI E DEL NOSTRO CALCIO - Il Napoli, dunque: al netto della generosità e dell'impegno mostrati, la partita del San Paolo è stata una specie di piccolo disastro. Il gioco, innanzitutto: lontano parente di quello che gli azzurri avevano sciorinato in certe sfide autunnali di Champions, condite di rapidità, verticalità della manovra, alti ritmi, precisione nel palleggio e sfruttamento delle fasce. Che Higuain e compagni siano in fase involutiva dall'inizio del 2014 è cosa nota, ma non rappresenta un'attenuante: se vuoi far strada in Europa, quello mostrato contro Arsenal e Borussia Dortmund è lo standard di prestazioni a cui al giorno d'oggi devi forzatamente attenerti: se te ne allontani anche solo di poco, sei fregato anche confrontandoti con realtà tecnicamente normali come il Porto (nelle cui file, per dire, decisivo è stato Quaresma, che in Italia trapanò l'acqua non molto tempo fa), perché le squadre italiane non dispongono delle sovrabbondanti risorse di classe delle grandi del Continente: se Higuain non inquadra la porta, se Insigne si batte con operosità ma senza trovare il guizzo del genietto, se Hamsik finisce addirittura ai margini, cosa rimane?  In Europa, ancor più che in campionato, la cattiveria sotto rete è vitale: il Napoli di ieri sera le sue occasioni le ha avute, alcune anche clamorose, ma solo una ne ha concretizzata, mentre i portoghesi, nel momento topico dell'incontro, ne hanno piazzate due chiudendo i conti. Ancora: la squadra italiana ha retto, sul piano fisico, un'oretta scarsa, poi si è afflosciata, davanti a rivali sempre più ringalluzziti. Prandelli l'aveva detto all'indomani della mortificante (per noi) amichevole di Madrid con la Spagna: il calcio nostrano, in questo momento, sta scontando un preoccupante gap atletico nei confronti di altri movimenti. In Europa i ritmi sono sostenuti, se non sei in grado di reggerli o chiudi i conti prima (e il Napoli poteva farlo) o rischi di lasciarci la ghirba: una condanna senza appello per un football, il nostro, che fino a una decina di anni fa veniva considerato un esempio in tema di preparazione fisica.
Anche il fattore campo, un tempo vanto del pallone nostrano, sta perdendo consistenza: persino in momenti storici in cui i nostri club si trovavano in soggezione qualitativa rispetto ai rivali esteri, giocare in casa ne moltiplicava le risorse e consentiva, qualche volta, di porre rimedio a capitomboli esterni, ora non ci riesce neanche più quello... L'ho già scritto in passato: allo stato delle cose, le squadre italiane non hanno speranze contro gli esponenti dei tre campionati "monstre", mentre con le altre possono vincere così come possono perdere: insomma, non vi son più certezze, la nostra autorevolezza internazionale si è volatilizzata, siamo intrappolati in un limbo di mediocrità in cui una squadra turca, per quanto di primo piano, può spianare il rullo compressore della Serie A per poi uscire negli ottavi di Champions dopo essere stata presa a pallonate dal Chelsea... Triste, molto triste. EUROPA LEAGUE SOPPORTATA - Su tutto, permane un problema di mentalità: già dalla laboriosa qualificazione ai danni dello Swansea, il Napoli è parso subire l'Europa League, più che interpretarla come un appuntamento importante: una pausa in attesa di una nuova Champions da vivere, si spera, da protagonisti. Così fosse, è stato un approccio sbagliatissimo: il Napoli non è il Milan, e una caratura europea si costruisce per gradi, passando anche attraverso tappe intermedie.
Giocarsi questa delicata sfida senza Hamsik, per quanto in un momento di scarsa forma, e senza il guastatore Callejon è stato un mezzo suicidio. In nome di che cosa, poi? Un ipotetico secondo posto in campionato sarebbe importante soprattutto per le casse societarie, ma la personalità internazionale, l'abitudine ai confronti europei te le costruisci solo giocandone il più possibile, di questi confronti, sennò rischi di far la fine dell'Udinese, che ogni anno si qualificava per le coppe per poi uscirne quasi sempre subito: risultati, competitività fuori dai confini rimasta ai minimi termini e nessun beneficio per il ranking. Questo per dire che, in questo particolare momento, tutti dovrebbero capire che una lunga marcia in Coppa sarebbe importante più di un piazzamento in campionato. Dopodiché, attendo sempre che qualcuno mi spieghi la necessità di dover scegliere fra Serie A ed Europa League, laddove all'estero, nei Paesi calcisticamente seri, questo dubbio amletico non se lo pone nessuno: la... figlia della Coppa Uefa è onorata da tutti come è giusto onorarla, negli ultimi anni l'han vinta, fra le altre, il Chelsea (di Benitez), l'Atletico Madrid due volte, il Porto (sic!). Tutti stupidi e noi gli unici furbi, certo. 

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