Il tallone d’Achille della proposta di Stefano Caldoro è stato individuato facilmente dallo stesso governatore: il campanilismo. Infatti, Aniello Cimitile, presidente della Rocca dei Rettori, alla sola idea di unire Benevento ed Avellino per fare di due piccole realtà una grande provincia ha risposto subito picche: “E’ una follia, sono contrario”. Dunque, non se ne fa nulla? Calma, ragioniamo. L’idea del governatore della Campania ha almeno tre buoni motivi così riassumibili: la sfida, il risparmio, la storia. Procediamo con ordine e vediamoli uno alla volta.
La sfida. Il federalismo è un’idea della borghesia del Nord. Il Sud finora ha subito l’iniziativa altrui ed è stato alla finestra. La Lega avrà anche opinioni sgradevoli ma è un dato di fatto che produce nel bene e nel male idee politiche alle quali gli altri o si adeguano o fanno buon viso a cattivo gioco. La proposta di Caldoro – accorpiamo i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti e le Province con meno di 500.000 abitanti - ha il merito di sfidare il Nord e la Lega sul loro terreno: l’accorpamento, infatti, non segue la logica del centro spostato in periferia, tipo i “ministeri al Nord”, ma quello più giusto dell’autonomia virtuosa degli enti locali. La sfida non è localistica ma nazionale e, per capirci, non sposa l’idea deleteria e anti-italiana che alla Lega (Nord) vada contrapposta un’altra Lega (Sud). La borghesia del Sud ha la possibilità di rappresentare un Sud positivo se mette al centro dei suoi interessi l’idea di nazione. La sfida di Caldoro va declinata su questo piano.
Il risparmio. Le Province sono una derivazione delle “intendenze” dello Stato napoleonico e sono state inquadrate nella struttura dello Stato italiano. La loro funzione, che era valida prima della nascita delle Regioni, diventa superflua dopo. Nella struttura statale federalista le Province sono con tutta evidenza un costoso sovrappiù. La proposta di Caldoro è palesemente una via di mezzo tra la radicale abolizione e l’impossibile esistenza ma ha almeno il vantaggio di ridurre le spese del ceto politico in attesa di ridimensionare le spese di bilancio.
La storia. L’unione delle province di Benevento e di Avellino ha dalla sua tanto la storia quanto la geografia. I due territori sono già uniti da rapporti politici e di buon vicinato – al di là delle rivalità sportive e calcistiche - e la loro unione ricostituirebbe un’area non piccola dell’antico e mitico Sannio. Per una volta il “mito sannita” potrebbe svolgere una funzione positiva per far uscire Benevento da quella enclave dalla quale si è sempre illusa di uscire nel passaggio dallo Stato pontificio alla Provincia voluta non solo dai democratici e moderati beneventani come Salvatore Rampone e Carlo Torre ma anche e prima di tutto da Garibaldi, Cavour e Minghetti per comprensibili ragioni anti-guelfe. Anzi, per dirla tutta, Avellino e Benevento con l’idea di Caldoro hanno una storica occasione per discutere insieme con Isernia e Campobasso – due miniprovince che formano addirittura una regione superspendacciona definita “il Regno del Molise” - di un progetto più grande e tuttavia all’insegna del risparmio e del federalismo virtuoso: il Sannio come regione. Sarebbe la strada più sicura per arginare la mastodontica conurbazione napoletana. Ma per percorrerla non ci si può chiudere ancora una volta nella rassicurante enclave beneventana.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 21 luglio 2011