Marc Stevens è un cantante che si esibisce nelle case di riposo con un repertorio alquanto nostalgico. Tra una tappa e l'altra del deprimente tour, il suo furgone-abitazione si ferma in mezzo alla nebbia, e lui è costretto a chiedere aiuto agli strani abitanti di un paesino di campagna. Troverà ospitalità presso Bartel, un bizzarro locandiere con un passato da comico, caduto in depressione dopo essere stato abbandonato da sua moglie Gloria.
I presupposti sono quelli del più classico degli horror e molti spettatori inseriscono il film nel filone horror-torture-porn-rape and revenge-nazixploitation francese, ma Calvaire è abbastanza particolare per un horror e troppo poco cruento per essere accostato a pellicole come Alta Tensione o Martyrs.
E poi ha una caratteristica che nei commenti e nelle recensioni viene raramente messa in evidenza, non si prende poi molto sul serio.
Fin dalle prime scene ci si trova di fronte a situazioni grottesche. I personaggi ambigui non abitano solo le campagne isolate e selvagge in cui si svolge il fattaccio, ma si trovano fin da subito in mezzo al pubblico di Marc, come la paziente moribonda che gli chiede un rapporto sessuale o l'infermiera dallo sguardo vitreo che lo fissa intensamente attraverso il finestrino.
La vita di Marc e gli ambienti in cui si muove hanno un aspetto terribilmente decadente, e quindi a mio avviso non c'è una vera frattura tra quel mondo e l'incubo in cui il protagonista precipita nel finale.
Ironico, divertente e a suo modo abbastanza disturbante.
Molto buone anche regia e fotografia. Mi piace il modo in cui sono stati sfruttati i volti animaleschi degli attori e le locations desolanti, e la composizione dell'immagine in alcune scene è davvero notevole.
Memorabile la scena della danza primitiva dentro il pub.
L'attore che interpreta uno dei montanari era anche l'assassino in Alta Tensione.