Le maglie sono gialle e nere a strisce orizzontali perché quando si trattò di comprare la prima muta erano quelle che costavano meno. Il rugby a Calvisano non ha le radici profonde di altri centri del Veneto, ma non esiste oggi in Italia un posto dove il rugby è così
strettamente intrecciato alla vita di una comunità. A Calvisano, bassa Bresciana orientale, meno di 9 mila abitanti, 28 chilometri da Brescia, 48 da Mantova e altrettanti da Cremona, il rugby è giovane ma sta già vivendo la sua seconda era. Arrivò nel 1970, prese forma all’interno del Gruppo Pesa, associazione culturale e ricreativa che si riuniva in un palazzo in piazza della Repubblica, vicino alla pesa pubblica appunto. I fondatori, i primi fedeli, sono
ancora oggi all’interno 0 vicini alla società.
(…) A Calvisano chi gioca a rugby nel Camini sta benissimo: se gli si rompe la macchina il meccanico arriva subito, se gli si rompe la lavatrice arriva l’idraulico. Anche perché a
Calvisano, che nel 2009 decise di abbandonare il massimo campionato e ripartire dalla A2, la terza serie, hanno appena vinto coppa Italia e scudetto, il terzo dopo queffi del 2005 e del 2008, la prima era. Tre anni fa si candidò con Parma per un posto in Celtic League,
nome della franchigia i Duchi, ma quella squadra rimase sulla carta. Allora la scelta di ridimensionarsi.
«Fu una scelta dolorosa, ma fatta in funzione delle nostre tasche — spiega Alfredo Gavazzi, anima del Calvisano e consigliere federale —. Nel 2009 la crisi nel Bresciano era pesante, molte aziende che ci seguivano hanno dovuto abbandonarci. Non è stato facile, siamo stati costretti a cedere grandi giocatori, ma era l’unica cosa da fare».
Calvisano ripartì con la seconda squadra, i suoi giovani e qualcuno che era rimasto, come Paul Griffen, nato a Dunedin, a sud dell’isola del sud della Nuova Zelanda, da 10 anni nella Bassa, 42 presenze in maglia azzurra. Subito arrivò la promozione in A1, l’anno
successivo quella in Eccellenza e sabato scorso lo scudetto. «E vero, abbiamo fatto in fretta a risalire. Abbiamo speso il giusto, costruito una squadra equilibrata. Abbiamo potuto sfruttare le nostre strutture, avevamo alle spalle anni di vertice. Poi abbiamo avuto
anche un po’ di fortuna, ma quella serve dappertutto, non solo nel rugby. Quando siamo scesi in À2 abbiamo perso un po’ di appeal, ma l’anno scorso, il giorno della promozione c’erano 1.500 persone, quest’anno 3 mila. Il pubblico è tornato, l’affetto per la squadra forse è anche cresciuto».
(…) Ma non ha nessuna voglia di ritentare il salto in Celtic League: «Assolutamente no — è
categorico Gavazzi —, stiamo bene come stiamo». Come Griffen, la bandiera, 37 anni e nessun rimpianto. «È vero, potevo andare via nel 2009 — racconta —, ma io sono convinto che quando le cose vanno male bisogna dare una mano, non scappare. Ho giocato davanti a 80 mila persone, è stato bello, ma è il passato. Sabato è stato altrettanto bello vincere
qui, sul nostro campo. A Calvisano sto bene, posso andare in bici con i miei figli, passeggiare a piedi nudi e poi Milano è vicina, Venezia e il Garda anche. Il rugby al massimo livello è stata una grande esperienza, ora mi godo altri piaceri. Per esempio camminare in paese adesso: tutti ti salutano e ti sorridono».
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