Cambiano i tempi

Da Icalamari @frperinelli

Una volta, cioè due giorni fa, era tutto diverso. Diversi i gradi in meno, diverso il clima. Pioveva dal cielo a goccioline, come da un annaffiatoio, sulle siepi fiorite di gelsomino che sfioravo passandoci accanto mentre andavo al lavoro. Il giorno si era aperto con la bruma, quello stato dell’atmosfera che tipicamente predispone alla malinconia. Cielo basso, aria grigia, assenza d’ombre. Umidità diffusa, tanto da avere l’impressione che la pioggia si fosse dimenticata della gravità.

Lo devo dire? Io non ero contenta. Mi sarei accontentata di una felicità istantanea, moderna, mordi-e-fuggi, da sfruttare finché c’era, sapendo che sarebbe durata poco. Mi sono stretta nel giaccone e ho fatto partire in cuffia Paul Weller, “You do something to me”.

E il reale è diventato iperreale: la siepe più odorosa, la pioggia più bagnata, la commozione più intensa. È tornata la Primavera, quella della vita, con le stesse fitte dentro al petto perché c’è qualcosa di sconosciuto e tremendo che deve assolutamente realizzarsi e tu cercherai di opporti perché andargli incontro può voler dire correre il rischio di sperimentare qualcosa di ancor più doloroso. Qualcosa che ha avrebbe a che fare con la gratitudine, perché dovrebbe esistere qualcuno che te lo fa dire, qualcuno a cui lo dovresti dire, per tirarlo dentro e farvi avvolgere insieme da quella sensazione. In quei momenti sai che la vita può sembrare di essere tutta lì, che davvero non ci sia bisogno d’altro. È chiaro che è una balla, se superi i vent’anni, se lo fai davvero, lo capisci a suon di porte in faccia. E quindi questi cambi di tempo così inaspettati arrivano come un regalo da scartare da soli, in segreto, e con cautela.

Passano appena un paio di giorni e la bruma è già un ricordo lontano, la nebbia si è sollevata ed è comparso il solleone. Tutti al mare, tutti al mare. No cara, tu resti al chiodo come tutti, intima il demone ordinario. Tranquillo, dicevo per dire, non ci pensavo proprio. Tanto me lo porto dietro, il mio scampolo di straordinarietà. Si chiama bicicletta. Qui, a Roma, tutte buche sampietrini e sensi unici, regno dei motorini e dei pedoni grande dolor. Che sfida.

Ed è trascorso un anno da che sono diventata parte della schiera di anarchici delle due ruote, oggi sono io che faccio invidia agli altri, nei giorni in cui lo sciopero dei mezzi pubblici trasforma in un ciclo epico lo svolgimento della transumanza quotidiana.

Sulla mia Dahon blu pieghevole, trovata d’occasione, che sale con me in metropolitana e insieme a me ne discende, aprendosi come un libro per regalarmi di nuovo la libertà del vento in faccia, di respiri profondi (e che m’importa se l’aria puzza, conta l’idea), di potermi sollevare e guardare la strada dall’alto come se ne fossi la regina. Ho ritrovato i “Ciclomobilisti” che festeggiano sempre oggi il Bike 2 work day” 

I tempi cambiano, tutto resta inquietantemente uguale.


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