“Al di là delle motivazioni che leggeremo quando verranno rese note ciò che preoccupa è aver considerato “omicidio volontario” un evento, certamente triste e doloroso, che non poteva essere previsto né tanto meno coscientemente meditato. Coloro che si occupano di sicurezza in azienda da oggi saranno potenziali destinatari di avvisi di garanzia per omicidio volontario ogni qualvolta un evento legato alla sicurezza degli impianti dovesse reiterarsi. Quali imprese vorranno ancora investire in Italia dove opera una magistratura di matrice anti industriale! Dobbiamo evitare che siano i magistrati a guidare la politica industriale nel nostro Paese”.
“Di questa sentenza desta enorme preoccupazione il fatto che per la prima volta nel nostro Paese viene riconosciuto il “dolo eventuale” per un infortunio sul lavoro. La preoccupazione è per i prevedibili effetti negativi che questo potrà determinare nelle aule dei tribunali e in questo sentimento anti industriale”.
“Riesce difficilissimo immaginare che un imprenditore vada in azienda con la volontà di creare le condizioni per provocare un incidente. Speriamo solo che questa sentenza non abbia effetti devastanti sull’economia ternana, e su quella regionale”.
“Preoccupa ancor più la possibilità che con la sentenza Thyssen si possa aprire una stagione nella quale il timore per una sanzione ‘esemplare’ possa essere la via maestra per garantire la sicurezza nelle imprese, piuttosto che continuare sulla strada della prevenzione. Con la sentenza Thyssen viene riproposto il principio della responsabilità oggettiva, in ragione del quale l’imprenditore deve rispondere — al di là di ogni ragionevole limite di valutazione preventiva— per il solo fatto di essere a capo dell’impresa”.
Sono gli stralci delle mail degli associati di Confindustria che il Corriere della Sera ha pubblicato ieri in riferimento alla sentenza che ha condannato in primo grado a 16 anni e mezzo per omicidio volontario l'amministratore delegato di ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, a causa dell'incidente del 6 dicembre 2007 in cui persero la vita sette operai. Alcune di queste considerazioni – raccolte sempre ieri da Giornalettismo – sono persino comprensibili, ma senza andare troppo al di là dell’intervista di un mese fa a Pietro Ichino (ripresa dal giornale online) che ricorda le circostanze emerse dall’istruttoria, vorrei provare a capovolgere il paradigma. Uno dei punti più contestati dagli industriali, infatti, è il timore che dopo una sentenza del genere eventuali investitori stranieri possano rinunciare a fare impresa nel nostro Paese. Sarà vero? Può darsi. Proviamo però a immaginare, molto più semplicemente, che l’effetto sarà quello di imporre, a chiunque vorrà investire in Italia, il rispetto delle regole. Francamente, preferisco vederla in questo modo.
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