Un tuffo ad Angkor Wat, Cecilia Manduca
Stazione di Hualampong, Bangkok, ore 05.55.
La città si sveglia e il treno inizia a muoversi lentamente sui binari, affollato dei veri thailandesi, quelli che prendono la terza classe e non lo Skytrain, quelli che ascoltano lo sferragliare sulle rotaie e non l’iPod: quelli che vivono alla giornata.
Sette lunghissime ore trascorse a sfamarmi gli occhi di vecchiette che chine raccolgono il riso col falcetto, di bambini che corrono in mezzo alla strada, di giovani che riposano su amache, svegliandosi solo per salutare distrattamente il treno .. e poi ancora palafitte, risaie sterminate, torrenti e paludi, uccelli di ogni specie e cielo azzurro mozzafiato.
E poi, quanta vita ad ogni stazione! Giovani che guardano emozionati il treno, compere che si svolgono dai finestrini e un’infinità di commercianti che popola i vagoni, carichi di cesti pieni di riso, mango, zuppe e verdure.
A metà strada, il paesaggio cambia: più giallo, più secco, più strade di terra battuta. Un ultimo sforzo e siamo finalmente pronte ad abbandonare i comodissimi sedili per conoscere l’ultimo baluardo thailandese verso l’Oriente: Aranyaprathet. Ancora qualche kilometro a bordo di un songthaew, un furgone blu utilizzato dagli autoctoni, e arriviamo al confine.
Vedere un confine è impressionante: fiumi di auto che scorrono in tutte le direzioni, chi guida a destra, chi guida a sinistra, biciclette, carri trascinati a braccia, pieni di paglia mischiata a chissà quali generi di contrabbando … e noi, i backpackers pedoni, che tra code, visti, controlli e re-entry permit recuperati all’ultimo minuto, in Cambogia ci arriviamo camminando.
Chi l’avrebbe mai detto che Cambogia e Thailandia sono così diverse tra loro?
Sterminate pianure coltivate, interrotte ogni tanto da qualche collinetta, paludi, vacche magre, bambini nudi che si bagnano in fiumicelli, motorini, il tutto avvolto un un’atmosfera di pace e tranquillità che nella “Land of smiles” non ho mai trovato.
Oltre a visitare Angkor, sulla quale non posso che dire che merita di essere una delle meraviglie del mondo, ho avuto la fortuna di trascorrere una giornata in bicicletta per la campagna cambogiana, rispondendo ai saluti e ai sorrisi di tutti, tuffandomi da un ponticello in un torrente con dei bambini, mangiando rane, serpenti, grilli, riposandomi su un’amaca mentre sorseggiavo latte di cocco e chiacchierando con un monaco bambino.
Non so se tornerò mai in Cambogia.
Non so se vorrò mai più toccare dei ricordi così belli, rischiando di contaminarli con il vento del progresso, che sembra cancellare piano piano tutto ciò che di bello c’è al mondo.
Ma per ora me la godo così, pura e vera.
Ceci