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CAMMINARSI DENTRO (267): Un’altra voce

Creato il 28 agosto 2011 da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 28 agosto 2011

Perché le parole dell’anno passato appar- tengono al linguaggio dell’anno passato / e le parole dell’anno prossimo attendono un’altra voce.
- THOMAS STEARNS ELIOT, Four Quartets, Little Gidding, II, vv.65-66

La contemplazione del tempo è la chiave della vita umana. E’ il mistero irriducibile sul quale nessuna scienza fa presa. – SIMONE WEIL, Quaderni, IV

La cognizione del dolore che portiamo in dote nella relazione d’aiuto proviene dall’esperienza ripetuta di contatto con l’esistenza spezzata e da un’esperienza di studio che coincide con quasi tutta la nostra vita. Non si tratta di accumulo di esperienze di lettura. Lo studio è stato coevo all’esperienza di intervento sul campo, a scuola e nel centro d’ascolto. C’è interazione tra un’esperienza e l’altra. La conoscenza condiziona l’azione educativa, che è guidata dalla conoscenza.
Il dolore di cui parliamo è la condizione di solitudine in cui si ritrova chi si è sottratto alla comunicazione significativa con le persone del mondo personale, chiudendosi in un ostinato silenzio degli affetti che non è scelta: la discontinuità del tempo della vita e la frammentazione interiore hanno generato la dissociazione e il sentimento della perdita. Incomprensioni e fraintendimenti hanno fatto il resto. Il farmaco lungamente cercato e finalmente trovato, nella sua ambivalenza, produce nuova infelicità: il disagio sottostante non viene certo curato. La ferita è solo ‘ricoperta’: le si impedisce di sanguinare, ma ad ogni timido ‘risveglio’ della coscienza, essa torna a produrre dolore. Allora, parliamo di fuga dalla libertà e dal dolore, per significare il bisogno di cure.
La tossicomania è una forma di autoterapia (Luigi Cancrini).  

L’apprendimento di ciò che si intende per addiction è il ‘risultato’ di infinite correzioni e integrazioni. A questa conoscenza, che non è un sapere, un astratto sapere disciplinare, il sapere di una sola disciplina, contribuiscono libri e scambi culturali diretti con persone a loro volta impegnate sul campo, psichiatri e filosofi, psicoterapeuti e giuristi, fondatori di comunità e genitori.

L’osservazione e la riflessione ininterrotte su ciò che accade sotto i miei occhi mi portano oggi a ‘concludere’ che la dimensione del tempo della coscienza, che più di ogni altra contraddistingue la condizione umana, subisce gravi alterazioni nella coscienza tossicomanica, che non è più la stessa, a causa delle condotte d’abuso.

Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. E’ inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro è l’attesa. – AGOSTINO, Le confessioni.

In ogni esperienza depressiva, in ogni forma di tristezza (“normale” o “patologica”), si fa evidente la discontinuità, la disarticolazione, del tempo interiore: del tempo vissuto. La metamorfosi del tempo interessa emblematicamente la dimensione del futuro, del presente del futuro agostinianamente inteso, attenuandosi e dileguandosi la speranza e l’attesa: si ha un futuro privato della speranza.

La contrazione del tempo dell’attesa e della speranza è accompagnata da una separazione del timore dalla speranza, come se fosse preferibile rinunciare al ‘futuro’, piuttosto che vivere angor e tristezza! Timidezza, insicurezza, senso di inadeguatezza, mancanza di consapevolezza, assieme ai dolori innominati conducono ad ansia e angoscia, i perturbanti per eccellenza, che non si lasciano domare facilmente, soprattutto quando sono il portato di momenti di dissociazione e di silenzio, se la comunicazione è stata interrotta da dinieghi e abbandoni. Non sentirsi (sufficientemente) amati è già preludio al fallimento, alla sensazione di scacco, di messa fuori gioco.
La macchina dell’illusione poi – una delle emozioni più distruttive – non viene anche messa in moto per anticipare affrettatamente il guadagno impossibile o difficile da ottenere? Precorrere i tempi e mettersi a consumare quello che non si ha (ancora) non è malattia del tempo? Non cerchiamo altra felicità, la felicità che non abbiamo, in ogni abbandono al regime delle chimere? E tutto ciò che c’è di malato nel nostro sentimento del tempo non dipende dal nostro presente?

E’ per questo che occorre un’altra voce, ma non la voce di una sola persona: altre voci interverranno a istituire file di continuità e a riparare l’infranto. L’amore che non abbiamo ricevuto – o che non abbiamo saputo, non abbiamo potuto accogliere -, per niente diverso da quello che un tempo pure ci è stato dato, con la sua continuità e la sua saggezza curerà la nostra parte malata. Torneremo a pensare di poter essere amati. Acquisteremo questa nuova sicurezza. In noi si daranno quelle file di continuità che sole costituiscono la forza di cui abbiamo bisogno per poter finalmente dire a ciò che merita che si dica sì e no a tutto ciò che ‘deprime’ e nega la nostra esperienza.
Chi si prenderà cura del nostro io bambino ci salverà, cioè ci restituirà la dimensione del presente del futuro, dell’attesa e della speranza.

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