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Lunedì 10 ottobre 2011
La lettura di un libro nuovo comincia così per me: sfoglio freneticamente da cima a fondo l’oggetto, cercando avidamente tutto quello che potrebbe servire a colpirmi mortalmente. Se i libri non mi fanno male al cuore, non servono a niente. Debbono cambiare la mia vita, farmi pentire di non averli scoperti prima; di non averli letti prima, se li possedevo già. Di tutto quello che è stato scritto c’è poco da salvare, si sa. Ogni volta di nuovo bisogna decidere cosa portare con sé in una situazione di pericolo. Quando, nell’agosto dell’anno 2000, mi ritrovai nel Reparto Cardiologia dell’Ospedale di Sora per un infarto cardiaco, portavo con me Moby Dick e basta.
Ogni giorno, quando mi aggiro nel mio studio in cerca di libri che spesso non trovo, perché prestati o perché fuori posto, mi domando se soffrirei e fino a che punto se un terremoto cancellasse ogni traccia di tutti quei libri. Della maggior parte, ormai, sento solo il peso, anche per la polvere che restituiscono. Allora, faccio il piccolo elenco di ciò che salverei. Al primo posto, sempre i Vangeli che comprai negli anni di Liceo, perché non hanno smesso di recare conforto nei momenti di disperazione.
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SIRMIONE DEL GARDA, 1-4 ottobre 2011 – XXIII Capitolo di Exodus – C’è casa dove c’è festa e perdono
Il 3 ottobre, a Sirmione sul Garda, nel primo pomeriggio, al termine di un incontro con i suoi Educatori, don Antonio Mazzi ha regalato ad ognuno di noi una copia del suo ultimo libro: Le beatitudini del marciapiede. La prima cosa che ho letto è nascosta in fondo alla pagina 19, intitolata Confessione:
Signore, è possibile vedere con le mani, parlare con gli occhi, sperare con il capo, piangere con i piedi, credere con lo stomaco?
Signore, è possibile morire da vivi, vivere come morti, avere voglia di generare vergini e trovati a fornicare con Babilonia?
Per tutta la vita ho amato i disperati bruciandomi gli occhi, ho sperimentato la speranza seppellendo tossici, ho toccato la fede abbracciando le prostitute.
Sento, però, che ho sbagliato tutto…
Mi sono incarnato poco!
La prima cosa che ho pensato è stata: Questo è matto! Questa mattina poi ho letto quello che dice Vittorino Andreoli nella sua Prefazione e ho concluso che è in buona compagnia:
Le beatitudini del marciapiede è un libro sconvolgente perché ci conduce, poco a poco, a concludere che la vita, almeno quella finora consumata, è un fallimento. e si avverte il desiderio, impossibile, di rifarla.
L’unica consolazione è he anche il suo autore, don Antonio Mazzi, scrive: «Sento, però, che ho sbagliato tutto…».
Poiché sia io che don Antonio ci siamo impegnati molto, verrebbe da concludere che ce l’abbiamo mesa tutta per fallire.
[...]
Non c’è altro da suggerire che leggere Le beatitudini del marciapiede riga per riga e sperare di non entrare in una profonda crisi depressiva. Gli unici che ne sono immuni sono i beati del marciapiede: i “nessuno”.
Insomma è un libro consigliabile solo a coloro che mai lo leggeranno!
I due del marciapiede mi hanno sospinto in una direzione che non mi piace per niente. Non ho nessuna voglia di mettermi a pensare che tutto sia stato sbagliato. C’è da comprendere a fondo, allora, da dove venga questo sentimento.
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