CAMMINARSI DENTRO (328): Aprirsi a nuove evidenze

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 15 gennaio 2012

Non basta avere le cose davanti agli occhi per poter dire di aver visto. Ancor più difficile ammettere di aver compreso (accettato) ciò che si è sentito.
Tra le forme più eroiche di non accettazione della realtà c’è da annoverare senz’altro l’attitudine maschile a trovare in ogni manifestazione della propria donna una spiegazione favorevole, anche in presenza di un rifiuto secco e definitivo. Se poi si tratta di altra donna, le torsioni che si fanno subire alla lingua – e alla logica – per poter dimostrare l’indimostrabile rasentano la comicità.

Ciò che risulta più oscuro nella sua evidenza è ciò che non possiamo accettare, perché talmente inaudito e inverosimile che non se ne accetta il significato palese. L’evidenza perde i suoi caratteri di incontrovertibilità e chiarezza tutte le volte che ci concediamo un’altra possibilità, anche senza fondamento. E’ sufficiente piegare lo sguardo all’indietro, per riandare all’evento che ci convince dell’assurdità di ciò che ci si para davanti agli occhi oggi. E se tra le cose passate ormai ce n’è una di cui siamo assolutamente certi, ci imbarchiamo in dispute imprudenti e insistenti che dovrebbero mirare a far ammettere che le cose sono andate esattamente come fa comodo a noi.

Ormai non ha più senso stare a pesare e misurare il grado di verità che hanno fatti e detti, ma chi vorrà rinunciare a segnare un punto ancora a proprio favore? perché non c’è altro a cui aggrapparsi per dare respiro a ciò che agonizza e langue!

Siamo convinti del fatto che se passerà che abbiamo ragione su un punto, si riapriranno scenari positivi, si disporrà di una base nuova su cui far poggiare nuove certezze, significati condivisi… Ma il fatto è che anche dall’altra parte si combatte la guerra di civiltà che ha di mira solo l’annientamento del nemico! Nessuna concessione può esser fatta proprio perché costituirebbe un varco attraverso il quale passerebbero altre ‘ragioni’ da spendersi al mercato della riconciliazione.

Quella piazza, però, è vuota. E non c’è sportello che possa valere per farci da giudice nelle nostre controversie quotidiane. Se pure da esse dipende il seguito della nostra storia, siamo soli. In realtà, non possiamo appellarci a nessuno. Nessuna tregua invocare.

Di tutte le possibilità di azione che abbiamo di fronte ce n’è una sola che andrebbe percorsa sempre. E’ quella di chi arretra, si astiene, resta in silenzio a contemplare lo spettacolo delle macerie che si mostrano ai suoi piedi, come se la realtà si fosse coalizzata tutta per mostrarci in una sola volta ciò che ci siamo rifiutati di vedere e di ascoltare a lungo.

Apprendere dall’esperienza è la cosa più difficile. Eppure, senza cadere nella tendenza a ripetere gli stessi errori, dobbiamo contemplare lo spettacolo che si mostra nella sua dura realtà e riconoscere che di realtà si tratta.

Tra ‘verità’ e ‘realtà’ ho sempre preferito la seconda. A che vale rivendicare questa o quella verità e lasciarsi sfuggire l’occasione per una più compiuta e vera comprensione della realtà? Se la verità di un fatto non basta più per salvare una relazione sentimentale compromessa, non sarà più saggio attenersi alla realtà, anche alla realtà deformata che si è venuta a determinare e in cui non riusciamo a riconoscerci? Se accettare perfino l’inaccettabile non basterà a sostenere l’illusione che possa ricomporsi l’infranto, almeno aiuterà la conversione dello sguardo verso nuove evidenze.

Dopo ogni perdita si suole dire in modo scontato che la vita continua, ma sta a chi ha subito la perdita trovare nella realtà ragioni soddisfacenti per riprendere a vivere dignitosamente. Chi non avrà coltivato la propria anima sentirà più forte la mancanza. Coltivare la propria anima non è solo un compito morale: è anche un modo per imparare a bastare a se stessi, e non solo per fronteggiare il lutto e la mancanza. Ai miei alunni ho sempre suggerito l’idea che in ogni relazione significativa dovremo portare qualcosa in dote. Quando viene meno la ragione perché la relazione sussista, c’è da spendersi ancora quella ‘dote’: è importante avere in sé la possibilità di continuare a dare senso alla vita. Indipendentemente da chi pure aveva contribuito grandemente a darle senso.



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