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CAMMINARSI DENTRO (329): Il volto interno

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 15 gennaio 2012

L’amore, inteso qui come sentimento rela- zionale elettivo e non solo, è un incon-dizionato consentire all’esistenza di una determinata persona non perché abbia particolari qualità ma perché è quella persona. – MARA DELL’UNTO

Secondo Vladimir Jankélévitch, «si può vivere senza filosofia, senza musica, senza gioia e senza amore. Ma mica tanto bene».
C’è da dire che non si può avere tutto dalla vita! E’ importante, allora, fare in modo che almeno la filosofia e la musica non manchino mai, perché insegnano a vivere, cioè a capire e a comprendere. La prima insegna a conoscere il mondo, la seconda aiuta a sopportare il dolore. Ma il potere più grande sul dolore proviene dalla filosofia stessa. Il bene più grande è la conoscenza.
Anche l’amore è oggetto di conoscenza. C’è chi preferisce ridurlo a bene incondizionato e autentico, come se fosse sempre così! come se bastasse ‘starci dentro’ per poter dire ‘amore’! Chi ragiona così, chi cioè si riduce a subire tutto ciò che viene dal cosiddetto amore, passerà poi il tempo a cercare invano di far funzionare ciò che dovrebbe funzionare e basta. Se l’amore non funziona, non è. E’ altra cosa. Qualunque altra cosa sia ciò che non è possibile chiamare amore non merita considerazione. Solo il Bene è degno di considerazione.
Naturalmente, ci acconciamo tutti a vivere allegramente anche in stato di cattività, ma di cattività si tratta. Possiamo anche amare per decenni una persona che passa il tempo a farci l’analisi del sangue, ma di fronte avremo sempre e soltanto una persona  dedita al controllo al microscopio della presenza di granelli di polvere sulla nostra giacca per accertarne la provenienza.
La stupidità uccide l’amore. Alla fine. Quando, dopo aver lungamente amato la stupidità di una persona e averla perdonata mille volte al giorno, si comprenderà che non ha molto senso continuare ad aspettare che essa, a sua volta, comprenda. Per definizione, gli stupidi non capiscono.
A che vale l’amore ‘cieco’, cioè non ricambiato? Ci affanniamo a spiegare, spiegare, spiegare; giustificare, giustificare, giustificare… Gli errori si pagano, e si pagano con prezzi sempre molto alti. Chi è convinto che non si possa mai dimenticare fa coincidere con l’impossibilità di dimenticare l’impossibilità di perdonare, come se perdonare comportasse di necessità anche dimenticare.
Mai nessuno ha teorizzato l’impossibilità del perdono. La sua possibilità dipende dalla nostra capacità di donare ancora tempo e vita e racconti. E questo non significa, nello stesso tempo, dimenticare.
Se il perdono fosse facile, tutti lo chiederebbero e lo otterrebbero rapidamente, senza fatica. Basterebbe chiedere. E c’è chi lo concede facilmente. C’è chi sopporta tutto senza mai chiedere risarcimenti per il male subito. Ma c’è anche chi è incapace di perdonare. C’è chi si porta dentro il ricordo vivo dei torti subiti negandosi all’amore. E’ forse proprio di fronte a persone del genere che non ha molto senso passare la vita ad aspettarsi un perdono che non arriverà mai, e che magari sarà reso ancor più improbabile dall’accumularsi dei fraintendimenti e delle incomprensioni che la vita ci dispensa ad ogni piè sospinto. 
Può una persona perennemente insoddisfatta e in lite con la vita aprirsi alla nostra mite presenza e riconoscere la serietà delle nostre intenzioni, la stabilità dei nostri propositi, l’autenticità dei nostri affetti? Chi è portato a perdersi sempre nei dettagli e a pretendere che tutto sia sempre sotto controllo e che tutto sia sempre trasparente e corrisponda alla propria pretesa di verità, non andrà mai all’appuntamento dell’amore con il cuore aperto.

Mara Dell’Unto descrive così 

CAMMINARSI DENTRO (329): Il volto interno

Il volto interno dell’amore

Da quanto detto finora è chiaro che un qualche ordine assiolo- gico si instaura solo quando ci è data una possi-bilità di gioire non solo per le sensazioni piacevoli o lo stato di benessere, ma quando si attiva lo strato dei sentimenti che è ulteriore, più profondo, rispetto a quelli sensoriali o vitali. E questo diventa possibile solo quando diventiamo capaci di sentire il valore assoluto di un’altra esistenza come tale; solo allora si attivano gli strati più profondi dell’affettività, quelli in grado di cogliere le differenze di valore del reale, avviene la maturazione personale che qui facciamo coincidere con la precisione del cuore. Di norma, ciò avviene perché siamo stati per primi oggetto d’amore da parte di qualcuno e quando ciò non è avvenuto, sviluppare la capacità d’amare diventa un esercizio estremamente faticoso, spesso superiore alle nostre forze. L’amore come sentimento che attiva uno strato personale del sentire, matrice di risposte che strutturano un ethos individuale, ci introduce al nesso tra la formazione di noi e l’apertura al valore del reale. Faccio un esempio: se non si sente che il desiderio di maggior benessere economico non vale la morte di un genitore o di un coniuge, sicuramente non è stato possibile attivare alcuna strutturazione assiologia del reale e non basta derubricare questi come casi di follia. Dostoevskij in Delitto e castigo coglie il vero – come sempre, aggiungiamo – quando consegna all’assassino di una vecchia spilorcia, per mano della prostituta Sonia, il brano di Giovanni sulla resurrezione di Lazzaro: ciò che deve risorgere è la possibilità di una vita personale, di una capacità di sentire che passa per l’assunzione delle proprie responsabilità, unica via di scampo da una morte per disseccamento interiore.

 


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