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CAMMINARSI DENTRO (355): La vita buona

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Lunedì 13 febbraio 2012

La vita buona è forse fatta di buone intenzioni, di promesse, giuramenti, fedeltà? E’ coscienza pacificata, spirito tollerante, magnanimità?
O non è, piuttosto, tensione irrisolta verso una chiarezza che non tutto concede, perché conta la cura di sé oltre il prendersi cura degli altri, di tutti gli altri che si aspettano qualcosa da noi?
Se poniamo mente al fatto che parliamo di vita buona e non, genericamente, di vita buona; se l’accento è posto su vita, ci sarà una ragione!

E’ tutto il nostro mondo-della-vita (Lebenswelt) a interessare lo sguardo, e ‘sguardo’ per noi significa educazione, educazione sentimentale, sentire, esatto sentire… Chiamiamo sguardo il ‘metodo’, il linguaggio che usiamo per andare incontro al mondo, oltre alla conoscenza del mondo, cioè dell’altro. ‘Amore’ e conoscenza qui si danno la mano: impossibile stabilire cosa venga prima e cosa dopo.
Andiamo verso l’altro che è in noi come l’altro che è fuori di noi.
Il territorio dell’anima e la realtà storica e sociale del nostro tempo si corrispondono. Come figli di questo tempo ne combattiamo le derive, cercando i varchi che rendano possibile consistere come soggetti morali.
La partecipazione diretta alla vita politica nelle assemblee elettive e dentro i soggetti politici organizzati è solo uno dei modi della presenza.
La ‘nuova socialità‘ che avanza nella grande Rete è terreno fertile per nuovi tentativi di arricchimento dell’identità personale: non siamo più atomi, condannati all’anomia di città anonime e di non-luoghi soltanto.
‘Uscire di casa’ significa anche ‘essere connessi’. Questa apertura al mondo arricchisce di infinite possibilità il nostro mondo-della-vita.
La cura di sé ne esce ridefinita. Non occorre più affannarsi a dimostrare che non si tratta di riflussi nel ‘privato’. Le reti sociali che siamo impegnati a costruire e a disfare sono il territorio nuovo in cui si manifesta una parte non piccola della nostra libertà.


 


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