Cammino sotto la neve che non smette di cadere. Sono uscita per cercare un po' di silenzio e poi tutto questo bianco mi chiamava.
Tanto ormai puoi scrivere dove vuoi, sei sempre connesso in qualche modo.
Questi giorni sono faticosi, non per la neve, ma proprio dentro alla mia testa dove invece non è nevicato per niente e tutti i pensieri han deciso di diventar serpentelli.
Sono rimasta impigliata in questo post, cara Stima, e non ne vengo a capo.
E siccome è un bel pezzo che ci penso so già che verrà fuori una roba senza capo ne coda, con pezzi sottintesi e magari chiari solo a me. Perdonatemi fin da ora se continuerete a leggere.
Il progetto, lo vedete dal post, è delicato e potente insieme. Sono rimasta a lungo a guardare quelle istruzioni e poi quei volti e poi di nuovo su, alle loro istruzioni. Il primo pensiero è corso a ciò che avrei potuto scrivere io. E qua prevedibilmente mi sono arenata. Non tanto perché non avrei saputo che scrivere, ma soprattutto perché, se prendi la cosa sul serio, è estremamente difficile esser sinceri.
Perché se è vero che "riconoscimi" è un bisogno selvaggio e primario, va a scontrarsi però con tutta la mia zavorra che durante gli anni mi son caricata addosso e che mi fa comodamente da scudo.
Quanto son disposta a concedermi? Quanto voglio essere riconosciuta?
Personalmente per me è un punto cruciale e se state pensando che mi faccio troppe seghe mentali avete pure ragione. Dal momento che ho deciso di scrivere però vado fino in fondo.
Fuggire alle definizioni è stato per me un traguardo ambito, salvo poi non riuscire più a raccapezzarmi io stessa. Ho scoperto a mie spese che così facendo ero diventata schiava della fuga stessa. Ero diventata "complicata" per definizione. Eccomi servita. Avrei potuto usare termini anche peggiori.
Anche quando sono diventata madre e tutti mi definivano tale, ho ingaggiato la mia personale battaglia (Non chiamatemi la mamma di Di, mi dicevo, ma piuttosto dite che la mamma di Di sono IO! E fa la sua porca differenza, sia per me che per mio figlio). Con il risultato che poi si tendeva a dimenticare addirittura che un figlio lo avevo.
È complicato, forse non sono riuscita a spiegarmi bene, forse sembra più una sbrodolata che una confessione.
Quel che vorrei riuscir a dire è che alla fine siamo un precario equilibrio di tante parti che si agitano e scalpitano e che cercano il predominio. Ogni soffio è capace di metterle in agitazione e riconfiguare una nuova situazione, di stallo o di perfetta armonia.
Forse l'istruzione per l'uso potrebbe esserne il comune denominatore di tutte queste parti. Cos'hanno in comune la bestia in gabbia, la madre amorevole, la donna che lavora, la persona insicura e aggressiva che spesso sono?
Vista così la cosa, allora ho pensato che avrei potuto scrivere questo:
OwlLa paura è la mia compagna.So che se l'accetto però mi porterà lontano.
E questo stato uno sforzo enorme.E forse non si è capito un bel niente.