C’è un tratto di costa ligure, tra Santa Margherita Ligure e Recco, particolarmente impenetrabile, tanto che persino la Via Aurelia è costretta ad abbandonare il mare per inerpircarsi su per le alture. Andando verso Ovest lungo la costa, dopo Santa Margherita c’è quel piccolo approdo che è Paraggi, e quella perla colorata e, diciamocelo, forse un po’ troppo sovrastimata, che è Portofino, la cui bellezza risiede proprio nel sorgere in una piccola baia alla fine di una tortuosa strada lungo il promontorio, oltre il quale, però, non è dato proseguire via terra. Il tratto di falesia successiva non ha mai consentito l’insediarsi di villaggi sul mare: solo un’abbazia, San Fruttuoso di Capodimonte, ha sfidato la natura impervia dei luoghi, monastero in spiaggia raggiungibile solo via mare. Poi la costa continua, qualche villetta qua e là, fino a Camogli. Finalmente una baia più grande, un’insenatura naturale che ha consentito all’uomo di stabilirvisi. Un borgo di pescatori, un piccolo porto, una chiesa e una fortezza su una penisola che si protende in acqua come un baluardo, e poi, immediatamente alle spalle, la falesia, che è stata tagliata, adattata, condizionata, per consentire la costruzione delle case.
La vedi così, in un pomeriggio d’inverno, mentre passeggi lungo il mare, da un lato la chiesa che ti dà le spalle, dall’altra il promontorio che ti ricorda la natura che incombe; vedi il mare agitato, le case colorate e la sabbia nera, e pensi che è un luogo perfetto, dove l’uomo ha saputo adattarsi alla natura, ma ha anche saputo adattare la natura a sé. Poi entri in un bar, e sorseggiando un caffé vedi foto di onde alte decine di metri, che prendono a schiaffi l’abside della chiesa, che cancellano la spiaggia e la passeggiata, che vogliono restituire al mare ciò che gli è stato sottratto. Sono foto di pochissimi anni fa, e proprio per questo, forse, impressionano di più.
Se, provenendo da Recco, si lascia l’auto poco prima della discesa a ZTL in paese, e si scende a piedi, si incontra dapprima una serie di palazzi costruiti a picco sul mare. Sono in alto, molto in alto, dove nessuna onda può raggiungerli, e guardano l’orizzonte dritto davanti a loro. La discesa è piuttosto ripida, e scendendo una ripida scalinata si arriva al porticciolo. Qui le barchette sono ricoverate al sicuro, sullo sfondo del borgo, protette da un potente molo. Tutt’intorno si sviluppa il paese, con i suoi edifici alti, i suoi vicoli stretti e certi ex voto alle pareti, edicole alla Madonna interamente realizzati in conchiglie. Alla terraferma è collegata la penisola della chiesa e del castello, e qui sì che le case sono strette le une alle altre, arroccate sulla formazione rocciosa come tante patelle attaccate allo scoglio.
La spiaggia di Camogli, d’estate zeppa di bagnanti, ora è patria dei gabbiani. Volano, atterrano, compiono volute nel cielo, gridano, planano, si tuffano a caccia di qualche pesciolino. Il mare è agitato, qualche onda arriva a lambirci i piedi sul molo su cui poggia l’abside della chiesa che, spalle al golfo, non pare curarsi delle intemperie. La passeggiata che corre lungo la spiaggia è una piacevole terrazza tra il mare e le quinte variopinte dei palazzi che si affacciano su di esso, nei quali si aprono ristoranti, gelaterie, locali che ci ricordano quanto questa località d’estate sia vissuta, e voglia fare la pretenziosa: Santa Margherita Ligure, e Portofino ancora di più, sono mete d’élite troppo vicine perché non esercitino fin qui la loro influenza.
Ci godiamo la passeggiata fino in fondo, guardando avanti a noi la nera scogliera che incombe, la cima avvolta da nuvole basse. Un fico d’india, carico dei suoi frutti rossi, arroccato alla parete rocciosa a strapiombo sul mare, sembra esso stesso Camogli, stretta tra il mare e la scogliera, esposta ai venti e alle onde, eppure salda alle sue radici.
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