A volte capita, in un mattino di nebbia, di assistere all’incantesimo che la fata del gelo crea per noi. Un tocco di magia trasforma il fiato gelido della notte in un abito bianco brillante di ricami, ornato di gale trine e merletti. Leggera e luminosa, scintillante al sole, la galaverna crea uno spettacolo incantato e unico. Così è apparsa l’altra mattina, e per breve tempo sino a che un pallido sole ha sciolto l’incanto.
Galaverna è parola affascinante e antica di incerta etimologia, di certo evoca gale, ornamenti d’inverno. E’ definita nei dizionari (Zanichelli, Sabatini Coletti) ghiaccio che si forma su alberi, foglie e oggetti esposti al freddo intenso. In un vecchio dizionario piemontese del 1859 di Vittorio di Sant’Albino, galaverna è un termine dialettale femminile e sta per brinata, brina, rugiada o nebbia congelata che negli stridori dell’ inverno investe i rami delle piante, gli arbusti, l’ erbe, a modo che appaiono coperti di neve.
La galaverna (o nebbia congelata) è un deposito di ghiaccio in forma di aghi o scaglie su oggetti esterni che può prodursi in presenza di nebbia quando la temperatura dell’aria è inferiore a 0 °C (da -2° a – 8°).
E’ costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via. Indispensabile alla formazione della galaverna è la presenza di nebbia con goccioline d’acqua in sospensione allo stato “sopraffuso” (cioè con gocce allo stato liquido nonostante la temperatura sia inferiore a 0°C). Lo stato di sopraffusione è molto instabile ed è sufficiente che le minuscole goccioline tocchino una qualsiasi superficie perché congelino istantaneamente su di essa. Questo avviene facilmente se la ventilazione è scarsa o quasi nulla, in presenza di goccioline di nebbia molto piccole e con dissipazione rapida del cosiddetto vapore latente di fusione che si genera nel momento in cui si ha il passaggio di stato da liquido a solido. Naturalmente pali, rami degli alberi, cavi elettrici ecc. sono i primi ostacoli a catturare le goccioline di nebbia e quindi vengono ricoperti dalla galaverna più rapidamente rispetto ad altri oggetti al suolo come avviene invece con la brina. (…) Se la temperatura è abbondantemente sotto lo zero ma le goccioline sopraffuse di nebbia presentano dimensioni superiori rispetto al solito, si forma la cosiddetta calabrosa, cioè “grande brinata”. Differisce dalla galaverna in quanto, invece di presentarsi come aghi di ghiaccio, risulta essere invece una compatta crosta di ghiaccio granuloso di colore bianco o semitrasparente se sottile. In presenza di vento forte può assumere spessore notevole rivelandosi estremamente dannosa per i rami degli alberi e i cavi arrivando addirittura a spezzarli per il grande peso accumulato.
(letto nel web)