Ho comprato il pane.
“Questa si che è una notizia!” direte voi. O forse no: vi limiterete a tornare su Facebook, che, in confronto, l’aggiornamento di stato del vostro amico, da single a sposato con il gatto del vicino, vi risulta più interessante.
Ok.
Quello di cui voglio parlare oggi è l’annoso problema del vero perché le cose non vanno bene.
Faccio un esempio semplificativo: il consorte che rifiuta di prendere parte attiva alla relazione, oppure ritaglia regole speciali per sé- tipo siamo una coppia di scambisti, e l’altro non riesce a fare sesso con la luce accesa neanche a pagarlo-, e, dopo anni di litigi e vita mesta si chiede ancora perché la relazione non va/non andava, finendo sempre con il “gli sbagli si fanno in due”, guardando l’altro che, se non è fuggito, è diventato l’ombra di un essere umano…
Che c’entra con il pane?
Aspè, che ci arrivo.
In quel dato esempio il problema fulcro, da cui nasce gran parte dello scontento e dell’incomprensione, è stato considerato, da una delle parti, intoccabile, assolutamente da non discutere.
Tutto deve andare bene, nonostante quello.
Come ci insegnavano a scuola, la società è una versione allargata del suo esempio più piccolo, la famiglia- per questo l’esempio della coppia-.
Se nella società un elemento finge di voler risolvere un annoso problema- per sè o per la controparte, spesso per entrambi- chiudendo gli occhi sull’elefante che gli sta cacando in salotto, la ribellione intellettuale di fronte a questa ipocrisia è inevitabile. E necessaria.
Non entrei mai in politica, a far parte di un gruppo che richiede fede, tessere, o giuramenti, nè farei mai la terrorista.
Ma informare è un atto meraviglioso, e ci sono mille modi per farlo.
Per questo ho preso la via del mondo della comunicazione- oltre che sono una grafomane senza speranza-, per permettermi, cioè, di fare ciò che amo.
Riprendendo il filo sconclusionato di questo post, sarebbe interessante far capire alle piccole attività di paese che molti preferiscono il centro commerciale non perché il destino è cattivo, l’Iper rappresenta il castello di Grayskull, e loro sono i poveri sudditi vessati.
La globalizzazione forsennata, poi, si combatte con un’offerta diversa: i centri commerciali danno tanto a poco, in un unico spazio? Loro daranno qualità, prodotti locali, cortesia e disponibilità nel seguire il cliente.
Diversificando l’offerta, si saranno ritagliati il loro target fedele.E invece no!
La maggior parte dei piccoli esercizi, almeno nel mio paese, campa appoggiandosi alla polvere; quando entri in un negozio sembra che tu abbia disturbato, non azzardarti ad metter piede in un luogo di svago, poi: bar e centri ricreativi sono fatti per gli amici del proprietario, per gli abitanti della via, o per chi prima ha stazionato con il suo gruppo nell’edificio.
L’esempio di oggi: entro, ci sono due commesse e una cliente. Tiro un sospiro di sollievo, perché non dovrò aspettare troppo.
E invece no, perché una la serve e l’altra ci chiacchiera. Mi viene chiesto cosa voglio, e poi la commessa di mezz’età torna a continuare il discorso con la cliente…
Dove lavoravo prima io la mia capa diceva: secondo la ditta non devi parlare, per me, parla, ma intanto muovi le mani.
Sembra una cavolata, ma il 70% di chi fa lavori non qualificati non è in grado di fare entrambe le cose. Chi fa lavori qualificati, sembrerà una sparata di parte o ad effetto, non ci riesce del tutto. (Non parlo di seguire due pagine web assieme, ma di muovere il culo mentre si discute.)
Alla fine tornano a servirmi, ma, la mia commessa, vedendo la collega e l’altra cliente in difficoltà nel decifrare il listino prezzi della Findus, mi lascia di nuovo.
Intanto ha pesato il mio pane - 96cent - e cancellato la schermata.
Aspetto senza neanche fiatare, arrivano altri tre clienti.
Alla fine tornano al registratore di cassa. Paga prima la signora di cui sopra. Poi la commessa fa: “Lei deve pagare,.. mi hai dato qualcosa?” faccio di no con la testa. “99 centesimi”
“Veramente erano 96” faccio io “non mi cambia niente, ma visto che state in due a servire una persona sola…”
Faccio cadere questa frase senza capo né coda, presa dallo sconforto.
“Ah, si, scusa, 97” (!!!!!!)
“L’altra volta dovevo qualche centesimo a D., perché non aveva da cambiare, ma non mi ricordo quanti..”
“Niente, niente, apposto così.” Mi liquida bruscamente, vagamente stizzita dal fatto che gli abbia fatto notare che mi aveva fatto attendere troppo a lungo. Io esco confusa, vagamente rammaricata.
Contate gli errori, si potrebbe intitolare questo post.
Concludendo questo trenino di spezzoni, e cercando il trait d’union, io so cosa non va, e perché la gente sceglie di andare in altri posti, o compra al suo paese solo perché costretta.
Vorrei fare una campagna su questo, con dei volantini ironici, o cose simili.
Ma ora ho da pensare al lavoro. Devo capire cosa si sta concretizzando, e se riesco a far si che con chi ti contatta, sia anche possibile concludere, e non ho la freschezza e l’entusiasmo per fare altro. Ma, appena il lavoro inizierà a marciare, vorrei fare anche questo nel tempo libero: informare, protestare e, in generale, rompere le palle, utilizzando quello che sto imparando sul lavoro, con mezzi poveri e immediati.
A riguardo dell’etereità di chi lavora nel campo della comunicazione, farò un post più avanti.
Passato l’assestamento e capito di più al riguardo. Ma qualcosa inizia ad essermi già chiaro: la libertà è un bene di difficile gestione, e, ai più, porta ad indulgere nei propri vizi e a rispettare meno certi codici comportamentali. Dietro uno schermo ci si trova trasformati, spesso a nostra insaputa.
Ma questo è un altro post.