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Campi – Racconto

Creato il 13 giugno 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

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No, tranquilli, non siete indiscreti. Sapete, io non ho nessun problema a parlarne. Nessuno. Eh lo so, molti tutt’ora vorrebbero dimenticarsene per non stare nella costante ansia, ma … insomma, se pure il più grande ansiogeno di tutti non ha problemi a raccontare il fattaccio, beh, vuol dire che dopotutto bisogna solo prenderla come viene. Sì, pensare “Insomma, ok, ho passato una settimana infernale, però ora è tutto finito”, ignorare quel “non totalmente” che la parte più negativa della mente ti manda e … andare avanti. Affrontare le cose positivamente. Sono vivo, no? Sarei potuto essere ritrovato morto, in una giornata di Sole, appeso per il collo ad uno dei rami degli alberi che pendono sul Brembiolo … Oppure sotto shock, ferito con una pallottola nello stomaco, alla fine di un viale rosso nel mezzo dei campi verdi attorno a Borasca… insomma, nella mente mi scorrono almeno venti immagini di situazioni terribili che mi sarebbero potute succedere.

Ma son qui, ora, e son pronto a raccontare tutto. Vi avviso, non sarà una novità per voi: la maggior parte di ciò che è successo la sa tutta Crosale, Rolesco, Gognasco e forse addirittura Lodi. Le voci girano in fretta qui. Già … che schifo. Vabeh, in ogni caso, iniziò tutto … dall’inizio. Sì, semplicemente dall’inizio, da quando la mia vita è incominciata. Attorno alla strada chiamata “Bassa”, quella fra Crosale e Rolesco, come già saprete ci sono centinaia di campi, quasi tutti coltivati, ma non per questo inviolati da altre persone al di fuori dell’agricoltore. D’altronde, insomma, quale bambino di un piccolo paesino non va in esplorazione del territorio circostante? Non che gli “invasori” siano necessariamente solo bambini, anzi, ci puoi trovare spesso dentro anche teenager in cerca di privacy, adulti a pesca, o famigliole che fanno una passeggiata dove non dovrebbero; insomma, quello che dovete capire è che chiunque, CHIUNQUE, può entrare nei campi.

E, logicamente, io coi miei amici andavo spesso in esplorazione quando avevo dieci anni, ma anche da sedicenne, perché alla fine le cose da scoprire e da trovare erano tante, nuove, inesauribili … e poi c’era pace. Insomma, lontano da tutti e tutto, con quel brivido di essere scoperto dal proprietario, quel verde, quei numerosi possibili soggetti per le foto. I campi erano irresistibili per me. Ora per ovvie ragioni molto meno, ma alla fine credo che lo siano anche tutt’oggi. In fondo alla mia anima. Nella sezione “fottitene”. Circa un anno fa poi, prima che la parte paurosa arrivasse, avevo ripreso ad avventurarmi in essi, spesso con qualche amico, scoprendo nuove zone e facendo tantissime foto; dico che avevo ripreso perché, per un certo periodo, avevo smesso di provare attrazione verso la natura e il verde attorno a me. Ma poi … boh. Sarà che ho imparato ad apprezzare la normalità, il solito paesaggio, non saprei. Sta di fatto che ho avuto sfiga. Proprio nel periodo più sbagliato, io ho risentito la voglia e il fascino verso i campi.

Sarei potuto essere uno di voi personaggi secondari, anzi, comparse! Invece no, son diventato uno dei protagonisti proprio in uno dei pochi momenti della mia vita in cui desidero non far parte dei personaggi principali. Ma io iniziai, sì, iniziai come personaggio secondario. Ero semplicemente sul pullman, su quel rettangolo stretto, quella scatola per sardine puzzolente, il peggiore della scuola e il più diroccato, inumano. Insomma, era tutto normale. Non parlo con molte altre sardine, lì dentro, la maggior parte delle volte mi limito ad ascoltare e basta, per colpa della stanchezza per le sei ore passate o per colpa del fatto che la mia mentalità, spesso, è contrastante con quella del 90% delle persone lì dentro; tendendo le orecchie, captai qualcosa come “Stefano Dellaquercia , Alessandro Trasversale e Andrea Aranciotti hanno ricevuto delle minacce nella sezione delle dediche del Cittadino. Lo so, sembra impossibile, ma questo è quello che mi ha riferito mio cugino Luca Brontoli”. Siccome ho ereditato il gene “fatti i cazzi degli altri”, tipico delle piccole città, l’idea di comprare il giornale locale è stata immediata.

Così, verso le tre del pomeriggio sono andato in edicola e ho comprato il Cittadino, son saltato alle pagine con le mail inviate dai lettori (i quali spesso vantavano la nascita di un figlio, un nipote, un compleanno o volevano solo salutare amici e parenti) e la vidi. La lettera era indirizzata ai tre ragazzi di cui avevo sentito parlare sul pullman, e il messaggio era tutt’altro che amichevole:

Non me la sento di dirvi basta. Non me la sento di dirvi di non provare neanche a fare un

passo nei campi, no… infondo, mi diverto troppo a vedervi fare cazzate. Mi piace, lo ammetto,

spiarvi segretamente. Mi piace pensare “oddio, adesso mi scoprono, non avrei dovuto calpestare

quel rametto, ho fatto rumore!”, mi piace sentire il panico, e mi piace avere il potere di farvi

qualsiasi cosa io voglia. Eh già, il porto d’armi … una manna dal cielo.

-Anonimo.

 

… Woah.

Tutt’ora ho i brividi a ripensarci.

Ricordo che mi son detto “Oh mio Dio, poverini … sarà di sicuro qualche agricoltore arrabbiato. Ma quelli del Cittadino cosa sono, scemi? Perché diavolo pubblicano una cosa del genere?”, e che subito dopo ho raccontato tutto ai miei amici, orripilato. Sembrava una cosa impossibile. Mai, MAI nella storia della mia zona era mai successa una cosa del genere. Eppure mi sentivo, in un certo senso, fortunato. Anche io ero stato in quei campi, anche io li avevo invasi, eppure non ero nominato. Forse per me non era troppo tardi, forse io ero salvo. Non ero io la preda di quell’anonimo perverso, e non lo sarei diventata: promisi a me stesso che sarebbero passati almeno venti anni prima che io avessi rimesso piede in quei territori. Il pomeriggio stesso, pedalando da Rolesco a Crosale, avevo detto addio mentalmente alle esplorazioni, alle belle foto e alla pace della natura, già, io mi ero salvato ed ero stato fortunato, e quindi quella era una cosa necessaria.

Già, proprio così… E poi, con una domanda, diventai protagonista. “Sono indiscreto se ti chiedo come l’hai presa la minaccia di stamattina, quella sul Cittadino?” Oh, lui sì che fu indiscreto. Voi no, ma lui, cazzo, sì. Non tanto per violazione della privacy, di quella non me ne poteva fregar di meno, quanto per stupidità, idiozia, mancanza di cervello e tatto. Non ricordo di avergli risposto. Credo di essere annegato nei pensieri, con in mano una calcolatrice per fare un rapido calcolo e mettere assieme i pezzi che componevano l’ovvio. So solo di essere sceso una fermata prima, di essere passato per l’edicola e di aver comprato per l’ennesima volta il giornale. Oh mio Dio, a ripensarci ora mi sento male, vi giuro. Non credo di avere mai avuto tanta ansia in vita mia. In un incubo mi era successa una cosa simile, IN UN INCUBO.

Sfido Alessandro Piccoli a passare ancora una volta sulla Bassa o a piedi in bici. Sappi che

tengo d’occhio anche te, baby, non ti ho dimenticato. Forse se guardi attentamente in qualche tua foto… sì, è probabile che dietro a un cespuglio, un albero o sulla riva opposta del Brembiolo, ci sia un pezzo di me che sporge. A parte lui, vorrei salutare anche la compagnia dei Zorleschini, che coi loro falò mi riscaldano il cuore, e quelle ragazzine che vengono a farsi foto da mettere su Facebook proprio vicino a uno dei miei vecchi nascondigli. Il gioco non è finito per nessuno di voi.

-Anonimo

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Ok, forse adesso capisco perché certa gente non vuole ricordare. Scusate se esito, ma sto rivivendo tutte quelle emozioni, quel terrore, quell’ansia, quella paura di morire e quella paranoia che mi si misero a flagellare l’anima quando lessi quella maledetta lettera. Non sono certo paragonabili a traumi di guerra o cose relative, lo so, ma per un sedicenne anche solo queste minacce son pugnalate nello stomaco, ma son certo che comprenderete. Fidatevi, io non camminai a casa, mi teletrasportai. Non aprì la porta, la attraversai. Non lo dissi ai miei amici, lo farfugliai. Persino tramite messaggio, ciò che ne uscì fu un testo confuso, pieno d’ansia e allarmante. Ma la parte più difficile fu dirlo ai miei. Mia madre la prese male, sì, ma non come mio padre: di carattere già abbastanza ansiogeno e pessimista, fu subito pronto a indire una spedizione di caccia all’uomo nelle campagne, desideroso di allertare carabinieri, polizia di stato, CIA e FBI. Sì, persino queste ultime due. L’aria, in casa mia, divenne colma di ansia. Ansia, ansia, ansia. Questa, c’è da dirlo, è una storia piena, colorata, sparsa e nutrita d’ansia. Neanche tanto l’orrore, no, quello avrebbe fatto forse meno male… quello mi avrebbe lasciato vedere in pace i miei telefilm, camminare alla luce del Sole coi miei amici o leggere un libro di Stephen King, ma tutte queste attività vennero messe in pausa dalla frenetica e divorante ANSIA. Riesco a risentire tutt’ora le grida di mio padre, che furioso diceva “Ma come si azzardano quelli del Cittadino a pubblicare queste lettere?”, “Ma perché nessuno ha ancora denunciato queste cose?!”, “Lo voglio uccidere, io quando prendo questo maniaco lo accoppo!”, “Ah io, io sì, io le conosco le famiglie del Dellaquercia, del Trasversale e di quell’altro. Adesso le chiamo tutte, poco ma sicuro, e risolviamo questa cazzo di situazione.”, mentre nel frattempo mia madre, la quale normalmente lo avrebbe calmato, taceva; pure io, che normalmente mi sarei lamentato del suo tono di voce esageratamente alto, restavo zitto.

E come avrei potuto replicare? Ero pienamente d’accordo. Lo lasciai chiamare le altre persone, discutere con loro tutto il pomeriggio, incontrarsi alla sera e decidere sul da farsi; la mattina dopo, io e gli altri fummo fatti restare a casa da scuola, e la polizia arrivò verso le dieci di quella soleggiata e fresca mattinata di “vacanza extra”. E avevano una nuova notizia. “Abbiamo controllato anche nel numero di oggi, sa, per sicurezza…” disse un carabiniere ai miei genitori “e sfortunatamente c’è una nuova lettera.” Un colpo al cuore.

Questa lettera è dedicata a coloro che stanno prendendo tanto seriamente la faccenda.

A tutti voi vorrei dire che non ho fatto nulla di sbagliato, IO. Siete stati voi ad invadermi. Ora, posso perdonare le ragazzine che si fanno le foto e la gang dei Zorleschini, a loro non frega nulla … ma voi altri, ragazzi nominati nelle mie precedenti lettere, siete imperdonabili. Avete invaso VOI il mio territorio, e VOI ora vi sentite le vittime? Beh, adesso IO ho invaso il vostro territorio, e IO mi sento la vittima. Dovrò usare ciò che ho per difendermi, che ci posso fare?

-Anonimo

 

Alla fine, un terribile post scriptum con i nostri indirizzi di casa. Adesso mi viene quasi da ridere a ripensarci, ma ricordo di avere passato il tempo seguente a questa lettera forzatamente lontano da ogni finestra e temendo per l’incolumità dei miei cari quando erano davanti ad esse. Immaginavo un vetro infranto da una pallottola mentre mangiavo al mio solito posto, un cecchino sui tetti delle case circostanti pronto a mirarmi alla testa, un foro in fronte mentre passavo per sbaglio davanti ad un vetro… insomma, le paranoie che mi nascevano in testa erano MIGLIAIA. Mentre tentavo inutilmente di distrarmi, perlopiù giocando con la mia gatta o chattando con gli amici, la notizia incominciò a diffondersi, e proprio per questo voi lo sapete; fra gli stati su Facebook di Alessandro, Andrea e Stefano, impauriti e arrabbiati, seguiti poi da quelli di supporto dei loro amici, e i commenti nel profilo del Cittadino … quasi tutto il Lodigiano, nel giro di un giorno, seppe. Giuro di non avere mai avuto tante chat aperte contemporaneamente, tanti messaggi di whats-app e tante dediche scritte in bacheca! Ero uno dei personaggi principali di una storia maledettamente orrenda, e se devo essere onesto avrei mandato tutti affanculo.

Non che li odiassi, o che mi stessero sulle palle, è che il solo parlarne mi dava i brividi, mi metteva ansia. Non potevo tentare (inutilmente) di leggere i miei libri, che il telefono vibrava e la barra delle notifiche diventava piena di messaggi. Nel frattempo, ovviamente, il gestore della pagina delle dediche del Cittadino fu interrogato e chiamato a rispondere alle domande delle nostre famiglie: avrebbe dovuto denunciare subito le minacce, lo sa? Fra le tante lettere che riceve, proprio quelle doveva pubblicare? Lei conosce o viene in qualche modo ricattato dall’Anonimo che le manda le cose? L’unico reato del sospettato fu l’essere colpevole di stupidità e noncuranza. Un caso, l’aveva definito lui, un caso che tre lettere di un anonimo finissero sulla pagina, una coincidenza macabra causata dalla stanchezza e dalla fretta … altri impegni, diceva, altri problemi gli ronzavano per la testa. Beh, perlomeno ora che è stato licenziato ha un problema in meno, vediamola così: gli abbiam fatto un favore a quel figlio di puttana. Vabeh. Tornando a noi, passiamo alla parte della storia che, presumibilmente, voi non sapete… Il giorno dopo fummo lasciati ancora a casa da scuola (la quale, ci mancherebbe, si era offerta di non contarci quei giorni come assenze), e una nuova, più minacciosa ma, stranamente, meno spaventosa lettera arrivò … nella nostra posta. Nella cassetta per le lettere della mia famiglia e di quelle degli altri tre, c’era un foglio di carta scritto a computer:

Tutto fuoco e niente arrosto, probabilmente è così che mi vedete.

Oggi vi dimostrerò che vi sbagliate.

-Anonimo

 

Quest’oggi, giorno nel quale avremmo dovuto accompagnare i poliziotti sul campo a mostrargli dove eravamo stati, il pazzoide avrebbe colpito. Le vostre facce sconvolte mi piacciono … eh lo so, lo so che non lo sapevate. Ma era per una questione di sicurezza, non potevamo far trapelare questa notizia, ci sarebbe stato un terrore collettivo … e poi non ce la sentivamo. Veramente, non ce la sentivamo più. Bene o male eravamo riusciti a evitare rotture da parte dei giornalisti, i miei non si erano mossi da casa e io neppure, però ci sentivamo come se ogni abitante della terra ci avesse fatto una domanda su questa faccenda. Per un breve momento, pensate, sarei stato disposto a patteggiare con la sorte: tre giorni interi nel pullman, schiacciato come una sardina, al posto di questa ansia divorante. TRE GIORNI. Wow, ragazzi, il mio cervello era proprio andato! Insomma… io la butto sul ridere, ma veramente … terribile. Una cosa terribile. Non so dove trovai la forza e il coraggio per uscire e andare a mostrare ai carabinieri i posti in cui ero stato … mi sentii uno di quei magistrati, quelli minacciati dalla mafia, che devono essere sempre circondati dalle guardie del corpo. Avevo una barriera, ma che dico?! Un MURO di uomini attorno a me. Ripercorsi le strade esplorate con sei bestioni attorno a me, alla ricerca di alcune tracce lasciate dallo psicopatico, mentre altri andavano a setacciare le zone menzionate nelle foto delle ragazzine … non so, non ho capito bene. Non mi importava. E tanto fu tutto inutile comunque.

A fine giornata, ciò che avevamo guadagnato erano dieci minuti di terrore puro, nel quale c’erano stati due spari, e una coppia di proiettili sparati da un fucile non registrato. Niente di più. E quella mancanza mi terrorizzò più di ogni altra lettera anonima. Rendetevi conto, ragazzi: ci saranno stati almeno una cinquantina, UNA SESSANTINA di carabinieri lì attorno. Era stato tracciato il possibile e scarso profilo psicologico dell’anonimo, e ne era risultato fuori che non poteva che essere o un qualcuno con un pessimo gusto degli scherzi, o uno psicopatico; lo sparo confermò che l’ultima opzione era quella che al 90% risultava più probabile. Ripeto, sessanta carabinieri provenienti da tutto il lodigiano non furono in grado di trovare delle prove e nemmeno di trovare colui che aveva sparato! Il giorno seguente fu il più terribile, non credo di essermi mai sentito più perso, in trappola e sotto attacco … eppure credo sia per me la parte più facile da raccontarvi. Essere conscio di essere sopravvissuto a tutto ciò mi fa sentire più forte, rinvigorito, potente. La giornata iniziò bene: uno sparo nel centro di Rolesco. Non aveva colpito nessuno, ma aveva svegliato tutti. Nessuna nuova lettera arrivò … lo psicopatico rimase in silenzio tutto il giorno. Un silenzio opprimente, pericoloso, minaccioso … Un silenzio che condì le terribili ipotesi che origliai, secondo le quali nessuno aveva mai vissuto nei campi, il ricercato aveva visto e selezionato vittime a caso, era fra la nostra cerchia di conoscenti e molto probabilmente lo avremmo potuto persino trovare su Facebook. Il nome della persona che ci minacciava era a un battito di tastiera nella barra di ricerca, avete idea di quanto sia assurda questa cosa? E il suo silenzio … mamma mia, il suo silenzio. La mancanza di lettere, minacce, come vi ho già detto fu terribile! Era come se capissi, riuscissi ad arrivare al silenzioso messaggio che stava inviando: ora si gioca sul serio, basta Anonimi, basta allusioni, stavolta siete nella merda per davvero.

Neppure gli spari del giorno prima mi risultarono tanto traumatici! E così, cinque terribili giorni passarono, e iniziò il weekend, e con esso la tortura sociale: per ovvie ragioni non potevo uscire di casa, e mentre tutti i miei amici andarono a fare un giro a Crosale nel pomeriggio, io restai in casa, a godermi la splendida luce filtrata del Sole, immerso nel confortevole calore di fine Maggio. Un incubo. Mandai a quel paese tutto e tutti, soprattutto la mia maledettissima sfiga. Avevo il cervello pieno di rabbia e riacquistai un po’ di coraggio quando la determinazione ad uccidere con le mie stesse mani lo psicopatico che ci stava minacciando prese il sopravvento. E un giorno, ne son convinto, lo farò. Perché no, io non ci credo, non sono per niente convinto che quel ragazzo arrestato sia colui che ci minacciava. Quando il lunedì successivo arrivò la notizia dell’arresto di un uomo sui vent’anni, il quale aveva sparato con un fucile ferendo tre carabinieri, io sentii fin da subito puzza di bruciato. Anche quando lui confessò di essere colui che ci aveva perseguitato, io sentii puzza di bruciato. Nonostante gli esami psicologici lo confermarono, io continuo tutt’ora a sentire puzza di bruciato. Solo la scritta che aveva sulla fronte, tutt’oggi, mi dà il coraggio di essere qui:

Questa è la mia fine.

Grazie all’aiuto della psicologa, che mi ha aiutato a combattere le paranoie, oggi riesco bene o male a camminare tranquillamente per Crosale o Rolesco, ma dentro di me continuo ad avere un sospetto; sì, una parte di me è convinta che tutto sia affrettato, falso, stupido. Che il vero maniaco sia ancora in circolazione. “Logico, colpa del trauma” è quello che mi dicono amici, famigliari, professori e carabinieri. Eppure io penso che, più che colpa del trauma, sia colpa della firma.

Alessandro Grossi



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