Se qualcuno aveva sperato nella possibilità di un riscatto del sistema politico dopo il declino del grande corruttore, può ammainare i vessilli: l’ennesimo alibi di una qualche diversità etica messo come pietoso paravento a politiche inique e allo stesso tempo inefficaci, è caduto con il salvataggio della Cancellieri. Un caso che non ha nulla da invidiare alle gesta del Cavaliere e della sua corte dei miracoli, che nasce nel medesimo brodo di coltura, che ancora una volta ci ridicolizza agli occhi del mondo. Ma evidentemente il sistema politico non si può privare di un ministro della giustizia ricattabile che all’ “umanità” già così spiccata nei confronti dei benefattori della propria prole, sarà anche molto comprensiva per quel popolo di indagati che alligna in Parlamento o per nuovi altarini che dovessero venire fuori, come è già avvenuto nel caso Alfano.
Mi ha molto divertito ascoltare Luttwak che ci colloca in Africa e non in Europa. Si perché probabilmente egli non sa che tutta la vicenda Cancellieri – Peluso – Ligresti ha proprio origine in Africa (vedi qui) tra quel ceto di grassatori coloniali, assai vicino al fascismo, (come conferma La Russa) che continua ad operare nel dopoguerra con la medesima mentalità e senza nemmeno bisogno di un’organizzazione Odessa, visto che lo spirito di clan è sempre apprezzato in questo Paese. Una mentalità da pieds noirs che trova terreno favorevole per l’ascesa dei Ligresti, così come per la truffa delle fustelle che coinvolge il marito della Cancellieri difeso da Carlo Malinconico, quel tristissimo ministro di Monti che si faceva le vacanze a scrocco ed era implicato nell’affare Sistri. Il tutto mentre la virago Anna Maria faceva carriera come prefetto, integerrimo “servitore dello stato” e il figlio della medesima, il figlio del prefetto amico di questo e di quello, aveva un facile cursus honorum di manager finanziario in funzione di Erode dei piccoli risparmiatori, fino a divenire testimone “reticente e contraddittorio” nel processo Parmalat -Ciappazzi che vedrà Geronzi condannato per bancarotta fraudolenta e il suo amministratore delegato anche per usura.
Un quadro che avrebbe dovuto sconsigliare di elevare l’ormai pensionata Cancellieri in Peluso a ministro dell’Interno nel governo Monti e poi ministro della Giustizia in quello Letta. Ma paradossalmente proprio quel quadro era invece il miglior biglietto da visita per un sistema politico immerso fino ai capelli in ogni tipo di affarini e affaracci. Quindi il suggerimento da parte della famiglia Ligresti di innalzare la virago alla poltrona di ministro trovò porte aperte se non spalancate presso Monti, così come la successiva richiesta di Berlusconi che chiedeva la garanzia di un ministro “amico” e possibilmente anche molto “umano” alla Giustizia, tanto umano da depenalizzare magari in reati di corruzione e frode fiscale, come difatti sta avvenendo. Eccolo servito con il benestare del Pd e di paron Napolitano che anche di fronte allo scandalo delle indebite interferenze confermano la loro scelta, mentre si sono subito liberati della Idem per molto, ma molto meno. Persino di fronte a una difesa del ministro al limite del ridicolo e offensivo per l’intelligenza. Del resto la Cancellieri è lì per i suoi demeriti e solo un sussulto di onestà potrebbe metterla in pericolo: c’è un limite a tutto anche in Italia.