Tra i Racconti filosofici di Voltaire, Candido, o l’ottimismo è il più complesso e quello che si avvicina maggiormente alla forma romanzo. Stilisticamente, si tratta di una parodia dei generi allora considerati di moda, come il picaresco, l’avventuroso e il sentimentale; parodia non fine a se stessa, di puro intrattenimento, ma veicolante una profonda riflessione filosofica sulla tematica centrale del pensiero voltairiano: la lotta contro le verità precostituite generanti il fanatismo e l’intolleranza, siano essi politici o religiosi.
Le esigenze che portarono il grande illuminista a scrivere Candide furono, da una parte la polemica filosofica, per non dire canzonatura, nei confronti del finalismo ottimistico di Leibniz, di cui il pedagogo Pangloss, personaggio chiave, è specchio fedele; dall’altra, la necessità di esorcizzare la profonda impressione destatagli dal disastroso terremoto di Lisbona del 1755 (a cui Voltaire dedicherà altri scritti, oltre a tre capitoli del Candide) e dalla corrente Guerra dei 7 anni.
Candide è un giovane ingenuo, allevato nel castello di un barone, sotto i precetti del pedagogo Pangloss, le cui osservazioni filosofiche tendono sempre alla dimostrazione aprioristica che ogni cosa vada per il verso giusto e che il mondo sia il migliore possibile. Il giovane si innamora di Cunegonda, la figlia del barone , la quale, dopo aver visto una lezione di anatomia pratica fatta da Pangloss a una cameriera, vuole sperimentare la stessa con Candido. I giovani innamorati vengono sorpresi dal barone che scaccia il giovane ingenuo a pedate dal castello.
Candido inizia così un’odissea tragicomica, dapprima finendo coinvolto nella guerra tra Avari e Bulgari, che sarà causa successivamente della distruzione del castello e della conseguente diaspora di Cunegonda e Pangloss, unici sopravvissuti. Gli itinerari dei tre errabondi si incrociano e dividono più volte ed ognuno di essi è segnato da un parossismo di eventi nefasti: guerra, terremoto, tempesta, intolleranza religiosa, schiavitù, razzismo, cannibalismo piombano sulla testa dei tre malcapitati ad ogni pié sospinto, mettendo a dura prova l’ottimismo teleologico del giovane e del suo maestro
L’itinerario di Candido è una sorta di rito di passaggio: la prima parte, verso occidente, è una fuga dalle persecuzioni in cui la sua fede nella bontà del mondo viene smontata pezzo a pezzo, anche per l’incontro con altri maestri, il realista Martino e il nichilista Pococurante; la seconda parte, ritorno verso oriente, è segnata dalla progressiva presa di coscienza del giovane che, ormai liberato dalla gabbia dorata della dottrina di Pangloss, inizia a considerare e accettare il mondo per quello che è, con i suoi vizi e le sue virtù. A far da spartiacque, il viaggio nell’Eldorado, proiezione della società perfetta di Moro e Campanella, unico luogo irreale dove tutto procede secondo armonia e giustizia. Alla fine, seguendo i consigli di un contadino turco, i protagonisti si ritirano in una fattoria della Prepontide, curandosi solo del lavoro nei campi e rinunciando ad ogni tentativo di interpretazione definitiva del mondo.