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“Cane Nero” di Levi Pinfold, Terre di Mezzo

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

canenerocopLa paura è una di quelle emozioni che si alimenta di se stessa.
Ponete gli oggetti  della paura su un piedistallo, celateli, mitizzateli, raccontateveli tra voi e la vostra immaginazione, sussurrate i timori all’orecchio, chiudete porte e finestre per non vederli e quelli cresceranno fino ad inghiottire tutto lo spazio che lascerete loro.
Avranno esattamente l’aspetto terrorizzante che gli attribuite: le paure non vi deluderanno fintanto sarete convinti di essere troppo deboli, o piccoli, o senza strumenti per affrontarle.

Che il simbolismo e la chiave di lettura dell’albo “Cane Nero” di Levi Pinfold – splendida e imperdibile pubblicazione della casa editrice Terre di Mezzo – siano chiari in quanto trasparenti e perfino dichiarati alla quarta di copertina, è fatto indiscusso che non teme di banalizzare il libro.
Perché di storie per l’infanzia dette velocemente sulla paura ce ne sono un’infinità ma poche, forse pochissime, sono in grado di incontrare davvero le paure e darne chiave di interpretazione e soluzione su un piano così profondo e allo stesso tempo così limpido, efficace e pulito, come questa.

Tutto, dal testo puntuale – lineare, con piccoli guizzi di brio – alle curatissime tavole –  dal taglio classico, alcune ampie altre piccine, e ricche di particolari da osservare e ritrovare –  contribuisce a costruire il senso impeccabile e potente dell’albo.
Senza sbavature, senza eccessi, con echi che appartengono ai racconti della tradizione, con riferimenti e suggestioni che agiscono da catalizzatori e attivatori per l’inconscio.

Una storia che pare cupa invece è luminosissima, come un raggio di sole che irrompa all’improvviso in una stanza buia svelando che i fantasmi non sono altro che oggetti familiari, che i mostri sono ombre e che i brividi si sciolgono volentieri in un sorriso.

La famiglia Hope – mamma, papà e tre figlioletti – un mattino, al risveglio, si accorge che un minaccioso animale è fermo davanti all’uscio di casa.
La bestia è un cane, ma non un fedele amico dell’uomo bensì un cane nero, feroce che va via via ingrandendosi man mano che i componenti del gruppo si accorgono della sua esistenza (questa una delle invenzioni narrative e simboliche più icastica e incisiva dell’albo)

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Grande come una tigre, un elefante, come osservano i genitori abbandonando di fretta le loro occupazioni mattutine per lo spavento. Oppure come un tirannosauro, come l’incredibile Hulk, come urlano i figli più grandi facendo riferimento ai miti che popolano il loro mondo di bambini.

Fatto sta che la belva sosta accanto alla loro dimora, pare quasi sovrastarla, si affaccia con un occhio alla finestra, ha zamponi enormi come colonne…Cosa fare? Chiudere, barricare, nascondersi, non guardare. E forse se ne andrà…

Solo la piccoletta di casa, la poco più che poppante Small ha un’idea diversa: con noncuranza supera il drappello di familiari spaventati, infila il cappottino ed esce nella neve.
La bestia è lì, grossa è grossa, nera è nera. D’altra parte la bambina la vede per la prima volta e aspetto e dimensioni sono quelle raccontatele dagli altri…
Ma lei non ha alcuna intenzione di abbassare la testa e svignarsela, affatto! Guarda il cane, parla col cane e lo prende perfino in giro invitandolo a seguirla.

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La bimba davanti e l’animale dietro, nel bosco e per le strade, tra passaggi stretti e altri tortuosi tanto che per starle dietro il cane nero deve per forza…rimpicciolire! E tra una cantilena, una corsa e una risata ecco che il bestione diventa piccino.
Così minuto e mansueto da poter perfino entrare in casa e, in un sospiro di sollievo, essere accolto da tutta la famiglia.

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Perché in fondo qual è l’unico modo di vincere le paure? Affrontarle, conoscerle, non prenderle sul serio, cimentarsi con loro, metterle di fronte alle proprie abilità, essere coscienti delle proprie risorse e su questo terreno sfidare ciò che preoccupa e tiene in ansia.
La paura addomesticata è un animale buono, magari perfino utile, può ricordarci la nostra forza, può tener conto dei nostri limiti, possiamo volergli bene.
Perché un altro aspetto della paura è quello di essere parte di noi, fedele compagna di tutta l’esistenza. Basta non permetterle di prendere a zampate e morsi la nostra casa…

Che la famiglia che anima la storia si chiami poi Hope e la piccola coraggiosa sia Small ovviamente è una nota di incisività in più: il motore della vita in fondo è la speranza, parola che apre subito gli scenari della mente alla luce, contrapposta alla paura che invece, di contro, li incupisce.
Bella la scelta di non aver tradotto i nomi, in modo da suggerire un senso senza declamarlo, renderlo manifesto ma delicatamente celato allo stesso tempo, perché non sia sguaiata ma sempre sussurrata l’interpretazione di un testo.

Come tutti i libri importanti, anche “Cane Nero” possiede un significato e un senso molto più vari e profondi di quelli che possono essere messi in luce da una recensione. Ogni lettore può trovare in pagine fertili lo specchio per sé più adeguato, ravvedere sfumature che ad altri passerebbero per monocolore.

Io ad esempio, oltre al tema della paura ho trovato qui rimandi a quello della solitudine.
Vista dalla parte del cane – e non dell’umano come la nostra visione uomo-centrica sempre ci suggerisce – la storia può prendere una direzione diversa.
Anche la solitudine, come la paura della quale sovente è figlia, cresce nel nascondimento e nella non conoscenza. Anche la solitudine, come la paura, può essere ridimensionata da chi ha il coraggio di guardarla negli occhi, affrontarla e giocare con lei. Può essere annullata dalla speranza.

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E sull’abbraccio di cane e bambina dell’ultima piccola tavola color seppia, mi convinco sempre di più: questo è un albo da non far mancare sullo scaffale della stanza dei bambini.
Un libro di quelli terminato il quale si è un po’ migliori, fosse anche solo per il calore, il conforto e la gioia di una bella storia.

(età consigliata: dai 4 anni)

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