Mad Max – Fury Road, un film di George Miller. Con Tom Hardy, Charlize Theron, Nicholas Hoult. Fuori concorso.
Altro che baracconata, come andavano a dire le beghine della critica più compunta e osservante. Il remake di Mad Max, sempre firmato George Miller, è una magnifica ossessione assai personale e assai autoriale fatta carne e cinema. Una fantasmagoria punk-barbarica che niente ha a che fare con i tanti film super eroistici di oggi. E Charlize Theron oscura Tom Hardy. La domanda è: piacerà al pubblico di Avengers? Voto 7 e mezzo
Tre applausi a scena aperta, a conclusione delle sequenze più scapicollate e tese, e alla fine un boato vero: questo quanto successo al press screening di stamattina alle 8,30 in Salle Lumière. Per carità, i signori e le signore con l’aria dei vacanzieri in Costa Azzurra che non si sa bene con quale invitation siano riusciti a entrare, son rimasti perplessi e glaciali di fronte a tale fantasmagoria dark-lurido-punk-barbarica. Ma i ragazzi e i ragazzacci delle fan- e webzine si sono scatenati. Il loro giubilo fragoroso ha forse coperto e silenziato i dubbi dei critici più istituzionali europei e americani, e però l’impressione è che questo Mad Max, Fury Road, ovvero l’auto-reboot firmato George Miller della terna post-atomica anni Ottanta, sia piaciuto davvero. Miller abbandona ogni pista narrativa lasciando solo una labile traccia, per concentrarsi sulla costruzione di un puro delirio visivo, di una esplosione di incubi e visioni, riproponendo potenziata e intensificata l’imagerie sordidamente avant-garde messa a punto per il suo eroe nella trilogia di tre decadi fa. Realizzando, anche, un film dall’impronta assai personale e autoriale, che non può essere confuso in alcun modo con gli attuali blockbuster supereroistici Marvel-Disney e affini – qui siamo in un altro universo estetico -, tant’è che c’è da chiedersi se il pubblico popcorm globale gradirà o troverà il prodotto troppo differente e indigesto. Io credo che resterà alquanto spiazzato, e non darei per scontato che questo MMFR scali le liste internazionali del box office e insidi il primato di Fast & Furious 7 e Avengers, The Age of Ultron.
Nel deserto che immagino sempre australiano (e però quante dune similsahariane, ce ne sono di così immense anche down-under?) si muovono nel solito futuro post apocalittico le tribù dei sopravvissuti – stavolta oltre al petrolio manca l’acqua -, con una centrale del Potere e anche del Male, una donna-guerriera che è tra le armi d’offesa più efficaci dei potenti, ma che poi diserterà, per portare una carovana di donne-schiave e donne-concubine verso una terra promessa che si rivelerà distrutta, scomparsa. E Mad Max? Prigioniero, umiliato, usato come donatore universale per eventuali trasfusioni e traòpianti et similia, e con una maschera-mordacchia che lo fa somigliare a Hannibal Lecter. Un Tom Hardy che per una ventina di minuti non lo si vede quasi e assai scarificato da George Miller. Al punto che l’eroe, anzi l’eroina del film è lei, Furiosa (in italiano), la guerriera che al posto del braccio sinistro ha una protesi letale, capelli rasati e, sotto e dietro a tanta bardatura dark & punk, una Charlize Theron dalla bellezza perfetta che resiste a tutto, e che, essendo anche molto brava, ruba la scena a tutti. Tom Hardy, liberato dalle catene ahinoi troppo tardi, si sbatte per fare l’eroe, e si sbatte bene. ma non ce la fa mai a soppiantare nel nostro indice di gradimento la Furiosa-Charlize. Non c’è un attimo di tregua. George Miller (ma cosa ha mai combinato in questi ultimi anni, anzi decenni?) rifà se stesso in un maestoso esempio di automanierismo e aurocitazionismo (però mai trombone), come il Fellini terminale che non si muoveva da Cinecittà dove ricreava il suo mondo e le sue ossessioni filmiche. Nella guerra dei Buoni contro i Malvagi introduce qualche clin d’oeil alla truce cronaca dei nostri tempi, sicché tra le truppe dei Potenti ci sono anche i kamikaze che non vedono l’ora di sacrificarsi per il bene della comunità e per guadagnarsi un posto nel Valhalla, dopo essersi pitati di cromo il viso e chiamato qualcuno ad assistere e testimoniare. Il resto sono, in puro stile Mad Max/Interceptor (così arrivò MM da noi negli anni Ottanta), macchine e vari mezzi di locomozione di abnorme e smodata fantasia costruttiva, simili a mostri metallici sputanti fuochi e fumi e veleni, e o megainsetti ispidi, puntuti, lanceolati. Ricci e scarafaggi d’acciaio in movimento per le sabbie rosse del deserto, con a bordo umani bestializzati, profeti punk, chitarristi molto heavy suonano la carica. Un inferno sulla terra ricreata con enorme talento visionario da Miller, come in un Ballo Excelsior steampunk degradato, come in una Pompei della meccamica. No, non c’è proprio niente in comune con i vari Iron-Man o Spider-Man, qui siamo in un barocco che ha più a che fare con i depositi d’immagini cinematografiche più folli, dal Fellini più estremo e insostenibile a certo Terry Gilliam a Jeunet, senza dimenticare ovviamente Todd Browning. Film anomalo, per niente in sintonia stilistica con i tenpi nostri. Tom Hardy non cancella il ricordo di Mel Gibson, anche perché non gliene danno davvero la possibilità. Film monumentale che ha portato a Cannes un surplus inatteso di energia, con il solito limite di avvilupparsi in una circolarità soffocante di sequenze eternament uguali a se stesse e in fondo fungibili. Ma è il limite di tutti gli autori che non fanno altro che dar corpo ai propri fantasmi.
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