Grace di Monaco, un film di Olivier Dahan. Con Nicole Kidman, Tim Roth, Paz Vega, Frank Langella, Parker Posey, Robert Lindsay, Derek Jacobi.
No, non è un disastro come il Diana con Naomi Watts. Proiettato alla stampa in un clima abbastanza antipatizzante e ostile (reazioni fredde, parecchi fischi, scarsi applausi) Grace di Monaco è un prodotto mainstream, un film sanamente popolare come forse non siamo più abituati. Racconto di alcuni mesi nel 1962 in cui la principessa di Monaco fu tentata di tornare al cinema, attraversò crisi private e fronteggiò la minaccia che Monaco perdesse la sua indipendenza. Una storia non così conosciuta. Certo, il film non osa niente, preferendo presentarci una Grace assai convenzionale al limite della santità. Ma è un melodramma pulp che al pubblico potrebbe piacere parecchio. Voto 6-
Vero, forse si poteva evitare di aprire questo che è il festival numero uno con un prodotto in fondo alquanto medio come Grace di Monaco, ma non gridiamo allo scandalo, please, o, peggio, al delitto di lesa cineautorialità. Perché è giusto che anche in un festival di fascia alta si dia spazio a un prodotto mainstream e, come si diceva un tempo e oggi non si può più dire, a vocazione popolare. Un biopic-non biopic, Grace di Monaco, che registicamente azzarda poco, e che se mai osa un po’ di più nella narrazione e nella messa a fuoco di intrighi e beghe del principato di Monaco, senza però mai esondare dal ritratto assai rispettoso della sua protagonista, così rispettoso da rasentare la genuflessione. Grace ne esce glorificata, anzi canonizzata – santa subito! – esemplare madre di famiglia, devota moglie nonostante tutto (nonostante le freddezze e il carattere asprigno del consorte), nonché abilissima stratega politica. Le malevole biografie non autorizzate in cui si insinuavano promiscuità gracekelliane prima e dopo il matrimonio e di passioni per le elevate gradazioni alcoliche non lasciano traccia qui, son semplicemente ignorate, piallate via. Eppure. Eppure questo film una sua forza e una sua ragion d’essere le ha, e pure un suo oscuro potere fascinatorio e incantatorio, e mi hanno alquanto infastidito i fischi, non robusti ma ben distinguibili, che si sono uditi a fine proiezione stampa stamattina alle 10 alla non gremitissima Salle Debussy (che non è neanche la più grande del Palazzo del cinema). Fischi, immagino, dei soliti adepti del culto cinefilo estremo pronti a esacerbasi e scandalizzarsi di fronte a una qualsiasi operazione onestamente media come questa. Che non è un biopic, come ripetuto ossessivamente nel corso dela onferenza stampa seguita alla proiezione sia da Nicole Kidman sia dal regista Olivier Dahan, un ragazzotto con l’aria di averci più confidenza con le palestre o la musica tosta che con la mdp, e lontanissimo dal cliché del regista di film in costume e di palazzo, basco con visiera abbassata a seminascondere il percing al sopracciglio destro, e un’aria assai proletaria a far da contrasto con la déesse Kidman seduta alla sua destra. “Questa è un’opera di finzione ispirata a fatti realmente accaduti”, è scritto all’inizio, tanto per mettere le mani avanti. E Dehan, interrogato in conf. stampa su dove il film più si discosti dalla realtà, ha citato l’episodio di Charles De Gaulle che interviene alla festa indetta da Grace alla Croce Rossa monegasca, episodio mai avvenuto. Grace di Monaco non è un biopic, anche perché non vuole raccomtare una vita, ma solo un suo spicchio, ritenuto significativo e crocevia e somma di eventi massimamente importanti, in questo caso sia per la protagonista che per il principato di Monaco. Siamo tra nel 1962, da sei anni ormai Grace Kelly ha mollato Hollywood e la carriera per andarsi a sposare il principe di un minuscolo starerello mediterraneo da molti detto da operetta. Sembra una favola, ma quella che vediamo nel film favola non è. L’ex attrice, da brava americana cultrice di valori quali la libertà e l’autonomia individuale, si ritrova come prigioniera dei rigidi rotocolli e delle miopi vedute di molti abitanti del palazzo, e si sente soffocare. Par di rivedere in certe scene il mitologico Sissi, con la ribelle giovane Romy Schneider insofferente dei doveri di corte e contrapposta alla severe istitutrici e regine madri, ed è quello il sicuro modello di riferimento, non so quanto consapeole, di questo lavoro di Dehane. Il quale ripercorre in pieno l’archetipo narrativo della bella infelice rinchiusa a corte. In soccorso a Grace arriva Hitchcock, che la vuol per il suo nuovo film Marnie. Lei sta per accettare, ma rimane sgomenta nell’apprendee come i sudditi non gradiscano l’idea di vedere la loro principessa interpretare una cleptomane malata di frgidità. Grace a Montecarlo è ancora vissuta come un’estranea vcnuta da lontano, da un altro paese, da un altro mondo, sopportata ma non amata dal popolo. Intanto le cose pubblice del mini-regno si avviano verso un punto di crisi molto grave. Charles de Gaulle vuole punire lo starerello che, con le sue tasse prossime allo zero, attira dalla Francia aziende su aziende, chede un tributo gravoso che di fatto è un esproprio, minaccia l’invasione, pone il blocco con tanto di filo spinato. Ranieri, spalleggiato da Aristotile Onassis che è a Montecarlo in pianta stabile insieme a Maria Calas (ed è un Onassis volgarissimo e brutale), non ce la fa a arginarlo. Fnché non interviene la nostra Santa Grace con la sua diplomazia del sorriso e del glamour (e pure della frutta) a rimediare la situazione. Questo contenzioso Monaco-Francia è la parte più ineteressante, aprendo finestre su angoli abbastanza oscurati e poco raccontati, almeno nelle grandi narrazioni di massa, e altrettanto lo è il lato intrighi di palazzo, con echi shakespeaiani e anticipazioni da Trono di spade. Olivier Dahane, con un materiale come questo, avrebbe pootuto adottare una chiave di messinscena di puntiglioso realismo-cronachismo come quella del The Queen di Stephen Frears con la sua Elisabetta nella bufera del dopo-Diana. Ma un po’ non lo soccorre la scenggiatura, un po’ non ci ha la vocazione, sicché preferisce battere la starda a lui congeniale, come già in La vie en rose su Edith Piaf (Oscar a Marion Cotillard), del melodramma pulp e assai esagitato e fiammeggiante, ben assecondato dalla solo apparentemente glaciale Nicole Kidman che qui recupera un’espressività che sembrava andata perduta nella sua maschera porcellanata. Dahane se ne frega abbastanza, e per fortuna, di una messinscena tutta ninnoli e tappezzerie da vecchio cinema calligrafico e, pur in una cornice di corretta ricostruzione, punta sui personaggi e sulle loro bufere interiori ed esteriori. Si sfiora pericolosamente la sopap opera, ma alla fin fine Grace di Monaco risulta essere un sano prodotto mainstream piuttosto ben riuscito. Non solo nella tradizione di Sissi, ma delle molte biografie di sovrane ora felici, ora infelici, savie, pazze, eccentriche, le Elisabette I e le Caterine di Russia e via cinematografando. Ho solo qualche dubbio che il pubblico femminile, cui è chiarissimamente rivolto, abbia ancora voglia di seguire le crisi di una donna divisa tra ragioni private e ragion di stato. La risposta la avremo tra poco, visto che il film esce in molti paesi europei, Italia compresa, domani. Mentre uscirà tra non molto ngli Stati Uniti, come ci ha tenuto a dire Olivier Dahane in conferenza stampa sottolinenando come, dopo il noto braccio di ferro che lo aveva opposto al produttore-distributore Harvey Weonstein, sia stato trovato un accordo che accontenta etrambe le parti. E la famiglia Grimaldi?, è stato pure chiesto in conferenza stampa. No, loro non l’hanno presa bene, soprattutto per come il film rievoca la figura di Ranieri di Momaco (spesso chiamato nel film Ray).
Magazine Cinema
Cannes 67: GRACE DI MONACO (recensione). Un film che rispolvera il vecchio, caro cinema alla Sissi
Creato il 14 maggio 2014 da LuigilocatelliPotrebbero interessarti anche :
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