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Cannes 67: “Relatos Salvajes” di Damián Szifrón (Concorso)

Creato il 20 maggio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

relatos salvaje

Anno: 2013

Durata: 122′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Argentina/Spagna

Regia: Damián Szifrón

Quanto compressi e pronti ad esplodere siamo… tutti noi, occidentali e civilizzati… Relatos Salvajes dell’argentino Damián Szifrón, prima pellicola del concorso ufficiale in cui mi imbatto, addensa nella forma del racconto visivo breve, storie di ‘straordinaria follia’. Alcune ben compiute sia visivamente che narrativamente, altre un po’ meno. La commedia ‘nera’, limbo dentro il quale il regista si muove da un pregresso televisivo e cinematografico che gli ha fruttato attenzione, premi e riconoscimenti, sviscera tutte le frustrazioni, impotenze, rabbie latenti, miste ad un innato (e mai sopito del tutto) stato di natura dei protagonisti, portati all’esasperazione – grottesca fino a un certo punto – da situazioni apparentemente normali, ma che in realtà non lo sono per niente. O meglio: nelle quali l’umanità galleggia quotidianamente in una assuefazione drammatica e non reagente.

Relatos Salvajes è nato da una stessa frustrazione del regista, bloccato nel dar concretezza realizzativa ai propri progetti. Per gettarla fuori, ha iniziato a scrivere piccole storie, tutte accomunate dal catartico effetto prodotto dal ‘perdere il ‘controllo’.  Un atto liberatorio che fa terra bruciata attorno ad ognuno degli umani coinvolti, portando in chiara luce la gabbia nella quale siamo contenuti. Che sia una volontà di potenza-prevaricazione innescata da un mero ostacolo al sorpasso su una strada deserta, la ‘kafkiana catena di montaggio’ della rimozione auto, refrattaria alla più palese delle eccezioni (l’assenza di una striscia gialla, solo giustificabile senso anche economico di rimozione), la macchia di un tradimento mescolata agli invitati del proprio matrimonio, la presa d’atto della incommensurabile potenza della corruzione, i nostri umanissimi personaggi vengono risvegliati da un torpore, da una cecità più o meno conscia, esplodendo in comiche e tragiche  - tanto realistiche quanto paradossali – reazioni.

Pellicola leggera, di alta fattura tecnica, specie in alcuni episodi  dove la macchina da presa riesce ad esprimere, in concomitanza all’emotività dei protagonisti, quel vorticoso, confusionario, altalenante, disincantato sguardo, presa di coscienza, risveglio. Il racconto più riuscito in questo senso è la scoperta della novella sposa (una emotivamente poliedrica esplosiva Érica Rivas), in pieno festeggiamento di nozze, del tradimento di suo marito. Tutto è incastrato mirabilmente e in simbiosi, attraversando una normale e felice ritualità, nella quale la disillusione comincia a far capolino sempre più,  fino a rivelarsi nella sua totalità, seguendo un’esplosione originale  nella resa,  che non si ferma in questo caso a ‘raccogliere i pezzi a terra’, ma li ricompone in una riconciliazione dove per la prima volta si conosce (e si accetta) veramente l’altra metà con cui si è deciso di vivere.
Se Damián Szifrón fosse riuscito ad applicare una struttura del genere a tutte le sue piccole novelle visive, la pellicola nel complesso sarebbe stata indubbiamente più matura ed affascinante. Non basta esplodere, se si ritorna a quello che si era o si termina la vita.

Maria Cera 


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