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Jacques Audiard, vincitore con il suo ‘Dheepan’
Vincent Lindon, migliore attore per ‘La loi du marché’
Che bellissimo Palmarès hanno approntato i Coen (e il resto della giuria da loro presieduta), individuando il meglio in un festival in cui era facile farsi depistare da film pretenziosi, tronfi, arty, fintoautoriali. Dheepan di Jacques Audiard era a mio parere il film più bello (l’ho scritto nella mia recensione, l’ho messo al primo posto della mia classifica), solo che non ci speravo che potesse agguantare la Palma, vista la fredezza con cui era stato accolto, soprattutto da gran parte degli italiani sulla Croisette. Ineccepibile il riconoscimento come migliore regista al gran maestro taiwanese Hou Hsiao-Hsien e al suo squisito (troppo?) The Assassin. Ma è con una terna di premi – il Grand Prix all’ungherese Il figlio di Saul (Saul Fia), quello della giuria a The Lobster di Yorgos Lanthimos e quello per la sceneggiatura al messicano Michel Franco per Chronic -, che Coen & soci hanno dimostrato coraggio, andando a pescare nella compétition i film più risqué e innovativi. Complimenti vivissimi. E allora poco importa se poi si è pasticciato con l’ex aequo per la migliore interpretazione femminile a Rooney Mara per Carol e, incredibilmente, a Emmanuelle Bercot per Mon Roi. Ho abbastanza detestato il film di Todd Haynes, e son dell’idea che i Coen abbiano visto giusto nel dargli solo un premio a metà lasciandolo fuori dalla vetta, però se ex aequo si doveva dare, perché non darlo a Rooney Mara e Cate Blanchett? L’inclusione di Emmanuele Bercot, che in Mon Roi non è granché mentre quello bravo nel film è Vincent Cassel, si fa fatica a capirla. Ma è l’unica pecca del palmarès. Perché anche il premio per il migliore attore a Vincent Lindon per La loi du marché è sacrosanto. Assai commosso, nel suo speech di ringraziamento, ha ricordato come questo sia il primo premio ottenuto in una carriera pluridecennale.
Italiani zero. Scusate, ma come s’è potuto ragionevolmente credere che Sorrentino e Garrone potessero prendersi un premio importante? Pur in un festival mediamente non così eccelso, i film migliori dei loro erano parecchi. Le uniche chance le aveva Moretti con Mia madre, ma non c’è da indignarsi che sia rimasto fuori dalla zona premi.
Troppa Francia? Tre premi ai francesi sono troppi. O meglio, strameritata è la Palma a Jacques Audiard, lo stesso il premio a Lindon. Ma l’ex aequo alla Bercot quello no, non si doveva dare. Però per favore, non cominciamo con i piagnistei a loro tutto e a noi niente.
Gli altri sconfitti (oltre agli italiani): Jia Zhang-ke e Carol. Mountains May Depart del cinese Jia Zhang-ke, uno dei titoli più vitali e interessanti pur con qualche sgangherataggine, è uscito senza niente, benché fosse tra i favoriti. Peccato, ma anche qui non parlerei di scandalo. La vera disfatta è quella di Carol di Todd Haynes, produzione Weinstein, coppia di star (Rooney Mara-Cate Blanchett) e un’accoglienza da parte della critica italiana e internazionale estatica. Capolavoro, capolavorissimo, s’è detto e scritto da molte se non tutte le parti. Invece no, Carol è il meno riuscito dei film di Haynes, un ricalco in peggio e in versione lesbo-chic di Lontano dal paradiso. Smorfioso e arty, non meritava la Palma d’oro. Coen ci avete visto giusto, grazie. Comunque ce lo ritroveremo a Oscar e Golden Globe, questo è certo.
Ma perché quei canti e balli? S’è cominciata la cerimonia di premiazione con un balletto giapponese abbastanza qualsiasi, e non se ne sentiva il bisogno. Poi un numero musicale di John C. Reilly e un pezzo da Inside Llewyn Davis canato in onore dei Coen dal divino Benjamin Clementine, a piedi nudi come sempre (l’ho sentito in concerto a Milano un mese fa circa, ed è stato fantastico). Già, ma cosa c’entra tutto questo con Cannes? A meno che non si voglia adeguare la serata di premiazione a quella degli Oscar. Monsieur Lescure (il nuovo presidente del festival, ndr), se è così ci ripensi.
E la Caméra d’or è andato al colombiano La terra y la sombra. Scusate se mi ripeto e esagero con le spieghi, è che secondo me anche i giornalisti spesso non sanno cosa sia esattamente la Caméra d’or. Allora: è il premio assegnato da una speciale giuria (quest’anno presieduta da Sabine Azéma) alla migliore opera prima tra tutte quelle della selezione ufficiale del festivalone (Concorso, Un certain regard, Fuori concorso) e quelle presentate alla Quinzaine des Réalisateurs e alla Semaine de la critique, rassegne del tutto indipendenti dal Palais. Il premio se lo meritava l’ungherese Il figlio di Saul, ma siccome gli hanno dato un riconoscimento ben più importante come il Grand Prix, la casella Caméra d’or è rimsta libera. Per riempirla la giuria ha scelto un film colombiano presentato alla Semaine (e anche lì premiato), La terra y la sombra (La terra e l’ombra). Tipico film poveristico-terzomondista però girato in uno stile altissimo-autoriale. A me non è piaciuto niente, ma è di quei film da festival che non tornano mai a casa a mani vuote.
Palma d’onore, ovvero il premio alla carriera, ad Agnès Varda. La quale nel suo lunghissimo discorso, ha ricordato i suoi esordi e ha detto che metterà questa Palma accanto a quella vinta da suo marito Jacques Demy per Les Parapluies de Cherbourg. Frase storica: “I miei film non hanno mai guadagnato soldi e mai ne hanno fatto guadagnare, eppure eccomi qua. Grazie”.
I PREMI
Palma d’oro
Dheepandi Jacques Audiard
Grand Prix
Saul Fia (Il figlio di Saul) di Laszlo Nemes
Premio per la regia
Hou Hsiao-Hsien per Nie Yinniang (The Assassin)
Premio per la migliore interpretazione maschile
Vincent Lindon per La loi du marché
Premio della giuria
The Lobster di Yorgos Lanthimos
Premio per la migliore interpretazione femminile
ex aequo a Rooney Mara (Carol) e Emmanuelle Bercot (Mon Roi)
Premio per la sceneggiatura
Michel Franco per Chronic
Caméra d’or per la migliore opera prima
La terra y la sombra di César Augusto Acevedo
Palma d’onore
Agnès Varda