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Cannes2015: LA TÊTE HAUTE (recensione). Discreto film d’apertura, grande Deneuve

Creato il 13 maggio 2015 da Luigilocatelli

dfacf947ae557d67de459aebbd30ae16La tête haute (Standing Tall), un film di Emmanuelle Bercot. Con Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Rod Paradot, Sara Forestier, Diane Rouxel.
f95d8d821d836877b110c5766e7447d3Storia di un ragazzo difficile e ribelle fino alla selvaggeria. Figlio di una famiglia complicata, capace di esplosiva violenza contro tutto e tutti. Una giudice dei minori tenterà il suo recupero. L’ennesimo racconto già molte volte visto del tragitto di un giovane maschio del branco verso la civilizzazione. Buono nella prima parte, meno nella seconda, dove si eccede in toni larmoyant. Regia mobile e assai fisica, corporale, di Emmanuelle Bercot. Una discreta apertura di festival. Monumentale Deneuve. Voto 6,5
492a3a6a53e35e7dfc338ff202518a5eNel 1959 il film di un esordiente chiamato François Truffaut lasciò il suo segno sul festival di Cannes con la storia di un ragazzino difficile, malamato in famiglia, finito in un istituto correzionale. Era I 400 colpi, naturalmente. Vedendo stamattina La tête haute, film d’apertura di questo Cannes numero 68, mi son ritrovato a pensare a quel Truffaut aurorale. Anche qui si racconta di un ragazzino – nome: Malony, uno di quei nomi da banlieu che son già da soli uno stigma sociale – che oggi nel linguaggio dell’assistentato sociale si dice difficile, disagiato, disadattato. Certo, Emmanuelle Bercot che sta dietro la macchina da presa e ha co-scritto la sceneggiatura, mica è Truffaut, e però a quel ribellismo senza causa, a quei furori istintualmente anarchici e distruttivi e pure autodistruttivi si riallaccia, e da francese che fa cinema come potrebbe essere altrimenti? Son molti i sussurri polemici nei corridoi del Palais contro le scelte di Thierry Frémeaux, il signor delegato, di fatto direttore artistico, in particolare riguardo alla decisione di aprire con il film di una regista come Bercot considerato minore e inadeguata e di includere in concorso altri cinque francesi tra cui Nicloux, Bizé, Donzelli che non godone certo della stima entusiasta dei giornalisti  branché. E si depreca e ci si indigna e si sussurra allo scandalo perché Arnaud Desplechin non è stato messo nella compétition e ha dovuto cercare rifugio politico alla Quinzaine con il suo Trois souvenirs de ma jeunesse di cui si dicon già meraviglie. E però, dico io, i conti si fanno, e i giudizi si danno, a film visti, dunque aspettiamo prime di emettere sentenze anticipate. A me La tête haute non è dispiaciuto per niente, anche se non grido al miracolo (e però insomma l’anno scorso l’apertura con Grace andò peggio), e molti devono averla pensata come me visto che alla fine ho sentito qualche applauso, subito zittito dagli intransigenti, dalle vestali dell’autorialità dura e pura da festival che evidentemente male han sopportato il finale larmoyant. Credo invece che il pubblico soprattutto francese apprezzerà, perché si tratta di una storia popolare, semplice e universale, mille volte vista e raccontata, certo, ma pur sempre in grado di produrre una narrazione avvincente se appena la si sa aggiornare ai contenuti e ai modi della contemporaneità. Operazione che Emmanuelle Bercot sa condurre con mestiere e un bel po’ di partecipazione verso i suoi personaggi. Malony, anni 16, è il solito grumo di rabbia compressa, pronto a esplodere contro tutto e tutti, in attacchi violenti contro cose e persone. Figlio di una madre sola accanto alla quale si succedono vari uomini senza che nessuno se ne stia lì stabilmente, e con un fratellino, Toni, al quale vorrebbe rispamiare la ripetizione cartacarbone della sua vita, Malony è un incazzato con il mondo. Che vuol dire ribellismi a scuola, fuga dalla stessa, teppismi, reati vari con particolare propensione per il furto di macchine e la guida pericolosa, la sua passione. Finisce davanto alla giudichessa dei minori, una Catherine Deneuve monumentale, madre putativa di un nugolo di ragazzi disagiati e disgraziati messi sotto la sua tutela, incarnazione di un potere femminile che ha a che fare con gli eterni archetipi della Grande Madre e della Grande Dea. Deneuve grandiosa, che quando è in scena incenerisce tutto intorno e tutti soggioga, cui basta uno sguardo, un fremito della voce per esercitare il dominio, e spalancare mondi mondi e abissi, e quando alla fine accenna a un pianto è tutta la platea che dà mano ai fazzoletti(cosa che non sarà mai perdonata dai critici più estremi). Il film è il tragitto del ragazzetto tra carcere minorile e istituto di rieducazione dove cercano di contenere le sue esplosioni di rabbia e di incanalarle verso un qualcosa. Ma lui è riottoso, ogni tentativo si dimostra inutile, ogni pur timido miglioramento si rovescia presto in una nuova catastrofe, e l’impresa di condurlo a una possibile convivenza con il mondo sembra fallire più di una volta. C’è di mezzo una ragazzetta, Tess, faccia e modi da tomboy, di cui Malony si innamorerà. Con una parte finale che è la meno convincente, con le sue sbavature sentimentali e un buonismo che non ce la fa a gurdare fisso il male e lo nasconde sotto il tappeto. Ma per almeno la metà e oltre La tête haute tiene, Bercot ce le fa benissimo a costruire il suo main character immergendolo in contesti credibili, facendolo agire e parlare in un lingugaggio che mima efficacemente il broken french delle subculture giovanil-banlieusarde-rappettare. In fondo, questa è la storia di un giovane maschio dal testosterone troppo alto e non tenuto sotto controllo, che passa dalla selvaggeria alla civilizzazione, dalla fase anarchica e violenta di componente del branco a uomo consapevole delle proprie responsabilità sociale. Processo che da tempo immemore nelle varie culture è affidato anche alle donne attraverso il matrimonio e la formazione di una coppia stabile. Anche in questo film è una ragazza a far mettere, letteralmente, le testa a posto a Malony, è una donna-regista a raccontarne esemplarmente il tragitto, è una donna-giudice, Deneuve, a regolare sapientemente le tappe. Film di un femminile protagonista e forte, e di un maschile in ritirata, oscillante tra la violenza distruttrice e l’accettazione di una piatta normalità. Con troppa enfasi su quello smisurato apparato di controllo sociale che si è formato in  Occidente nelle ultime decade attraverso assistenti sociali, educatori, educatrici, tribunali dei minori, centri di recupero. Forse non abbastanza autoriale per aprire Cannes, e però Bercot sa raccontare, sa mettere in scena con efficacia ricorrendo alla solita macchina a mano pronta a buttarsi nella mischia dei suoi personaggi, a restituirne il peso fisico, la consistenza corporea. Gli attori son tutti assai bravi, e anche le star – Deneuve e Benoît Magimel – si spogliano di ogni aura divistica e si calano nella naturalezza della vita secondo i codici mimetici del cinéma-vérité. Sara Forestier, la madre disgraziata, è parecchio cambiata dai tempi in cui ci incantò in La schivata di Abdellatif Kéchiche, ma è sempre brava. Il ragazzino Rod Paradot ricorda da vicino il protagonista di Mommy visto in concorso un anno fa (film con cui c’è qualche somiglianza, e però Bercot non è Dolan, diciamolo). Immaginabile per stasera, alla proiezione ufficiale, un’ovazione per Madame Denueve. Se la merita.


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