Carlos è uno dei sarti più prestigiosi e quotati di Granada ma, in gran segreto, è anche un crudele e metodico assassino che pratica quotidianamente il cannibalismo. La sua esistenza però cambia quando Nina, una ragazza in cerca della sorella gemella scomparsa, appare nella sua vita: quanto Carlos incarna inconsapevolmente il male, tanto Nina è il simbolo della pura innocenza. Facendogli capire la vera natura dei suoi atti, Nina risveglierà in Carlos sentimenti d'amore a lungo sopiti.
Basterebbero i soli primi dieci minuti di pellicola a rendere degno di attenzione quest'ultimo film dello spagnolo Martìn Cuenca. La sequenza del tavolo di marmo antico e bianco dal cui angolo intagliato scivola inesorabile un rivolo di sangue color rosso rubino è un pezzo di cinema davvero da segnalare e mettere bene in memoria. Scrivere e girare un film in tema di cannibalismo, si sa, non è di per sè operazione semplice, a meno di non avere la mano salda ed esperta del Jim Mickle di "We are what we are" (2013). Cuenca ci riesce invece benissimo, lasciando per di più il cannibalismo molto sullo sfondo e dando spessore, (potremmo dire in questo contesto, uno spessore "corposo") alla figura di Carlos, un Antonio de la Torre in stato di pura grazia nei panni di un sarto di provincia completamente assorbito da due interessi assoluti, ideali: il suo lavoro e la cucina carnivora (umana).
Ma prima di addentrarci nella storia e nei suoi sviluppi, peraltro molto molto semplici, se non addirittura minimalisti, soffermiamoci ancora un attimo sulle prime lunghe sequenze che si chiudono sull'inquadratura in primo piano del tavolo di marmo sul quale è distesa una delle vittime di Carlos. Da questi primi movimenti di macchina capiamo subito che anche Cuenca è un sarto molto raffinato, per il quale ogni millimetro di pellicola possiede una sua peculiare importanza: basta vedere la sequenza successiva ai titoli di testa, in notturna, in cui l'auto di Carlos è ferma di fronte al casolare diroccato: una sequenza lunghissima, per certi versi fin troppo diluita, ma utilissima a generare un pathos che Cuenca vuole centellinare insieme a noi fino all'ultima goccia.
Potremmo fare ovviamente molti altri esempi, ma sempre e solo per dire che "Cannibal" è un film molto raffinato sotto il profilo visivo e della complessiva gestione della regia, una gestione operata su vari registri, in particolare su quello dei contrasti di una fotografia che inquadra ambienti diversi (dalle montagne innevate, alle stradine tortuose e petrose di Grenada; dai primissimi piani sulle forbici da sartoria, ai luminosi, solari primi piani di Olimpia Melinte, etc.).
Sul piano della costruzione e dello sviluppo filmico dello script, la genialità di Cuenca (e dello scrittore cubano Arenal, dal cui racconto è tratto il film, nonché di Hernàndez, già sceneggiatore di quell'ulteriore gioiello iberico che porta il nome di "Eskalofrìo"di Isidro Ortiz, 2008) consiste nel porre l'aspetto apparentemente più centrale dello script, e cioè le abitudini cannibaliche di Carlos, come cornice appositamente non indagata e/o approfondita. Il cannibalismo diventa così una sorta di metafora evocativa, un tratto caratteriale come un altro, una "perversione" come un'altra, mentre tutta l'architettura del film si va costruendo su altre direttrici, decisamente più "spirituali", psicologiche, relazionali. Cuenca gioca tutta la sua partita su un uso, che qui potremmo definire creativo, della scissione. Il cannibalismo di Carlos sembra cioè in uno stato di freezing psicologico, ghiacciato come le nevi perenni della Sierra Nevada, che circondano sontuosamente la città.
E' l'incontro tra Carlos e la sua vicina di casa, Nina, ciò che interessa di più a Cuenca. Gli interessa cioè cogliere il possibile processo di incrinatura della scissione adamantina che caratterizza il modus vivendi e la forma mentis di un personaggio come Carlos. Tale incrinatura viene mostrata con gradualità ed è operata con sottigliezza seduttivamente inconsapevole da parte della ragazza, a partire dal suo primo ingresso nella sartoria, quando proporrà candidamente a Carlos un suo "massaggio".
Credo che l'aspetto perturbante di questo film, cioè l'elemento che può interessare un blog come questo che state leggendo, e che si dedica da anni al Cinema Perturbante, consista precisamente nell'idea di accostare mondi lontani, nell'avvicinamento di aree scisse, mute, incistate e criptiche, usualmente eteromorfe ed incomunicabili. Tale accostamento è decisamente acrobatico e insieme straniante, e infatti durante la visione del film ci chiediamo spesso dove il regista vuole andare veramente a parare. Gli interessa l'estetica dell'allestimento complessivo? Gli interessa l'ambientazione? Gli interessa una riflessione sull'isolamento sociale di una certa provincia iberica (tema caro a molto altro cinema perturbante ispanico)?.
Penso che la mira fondamentale di Cuenca sia invcece quella di approfondire il tema dell'Amore come Ideale ossessivo-divorante. Il cannibalismo è infatti una pratica che in realtà divora dall'interno chi ne è praticante. Ma anche l'Amore "normale", nella figura di un oggetto che si presenta (o ri-presenta) dall'esterno(interno), può trasformarsi in un'ossessione altrettanto divorante-seduttiva. Questa prospettiva porta in sè valori intrinseci del Cinema Perturbante spagnolo: si vedano i fondamentali lavori di Nacho Cherdà a tale proposito. Tuttavia Cuenca decide di declinare il Perturbante tutto in chiave psicologica, come dimostra l'uso diffuso, da un certo punto in poi del minutaggio, dei (lunghi) dialoghi tra Carlos e Alexandra/Nina.
E' probabile che gli amanti dell'horror duro e "splatteroso" rimangano assai delusi da questo film spagnolo minore, dai toni sussurrati, che vuole amalgamare cannibalismo e storia di sentimenti d'amore serpeggianti tra uomo e donna. Il film, come dicevo più sopra, è inoltre diluitissimo in alcune sequenze, sulla quali Cuenca permane lungamente, in modo a tratti estenuante per qualsiasi spettatore medio (vedi la sequenza della donna che nuota nel mare di sera mentre Carlos la osserva come un predatore nel buio di una spiaggia deserta). Il film dura poi ben 116 minuti, tempo inusuale per qualsiasi film cosiddetto horror. Ma sotto questi chiari di luna artistico-cinematografici così avari di novità interessanti, "Cannibal" si staglia come un contributo davvero originale al nostro genere preferito. Da vedere.
Regia: Manuel Martìn Cuenca Soggetto e Sceneggiatura: Humberto Arenal, Alejandro Hernàndez Fotografia: Pau Esteve Birba Montaggio: Angel Hernàndez Zoido Musiche: Eva Valino, Pelayo Gutiérrez, Naco-Royo Villanova Cast: Antonio de la Torre, Olimpia Melinte, Maria Alfonsa Rosso, Florin Fildan, Manolo Solo, Delphine Tempels, Gregory Brossard, Cedric Sester, Carlos Aceituno Nazione: Spagna, Romania, Russia, Francia Produzione: Promociones Urbanìstica La Loma Blanca, Mod Producciones, Libra Film Durata: 116 min.