Non so com'è l'aldilà, non riesco proprio ad immaginarlo ma ci credo. Certe volte in verità non so nemmeno com'è l'aldiqua, ci sono molte cose che mi sfuggono, forse perché fanno parte o sono lo specchio del mistero che separa (o unisce?) i vivi dai morti...
Così come ci sono persone che non conosci, a cui non hai mai stretto la mano, che non hai mai guardato negli occhi, eppure le senti vicine. Perché indubbiamente la poesia unisce, la poesia ti entra dentro e comincia a far parte di te e in qualche modo anche chi l'ha scritta entra nella tua vita. Il poeta di cui vi voglio parlare non l'ho conosciuto e purtroppo non potrò più conoscerlo perché non è più tra i vivi, è venuto a mancare, infatti, lo scorso 26 agosto. Ci rimane la sua poesia. Yzu Selly (pseudonimo di Francesco Albano) era un poeta. A maggio di quest'anno è uscito il suo ultimo libro dal titolo davvero premonitore "Canzoni per una stanza abbandonata". Ed è di questo libro che voglio parlare.
Dunque, "Canzoni per una stanza abbandonata", e viene subito in mente la stanza dell'ospedale che è stata la sua ultima dimora, ma anche la stanza che è questo mondo e che spesso risulta essere angusta e soffocante; tuttavia ci sono esseri che riescono a trovare in essa un' aria nuova per il proprio respiro, un orizzonte più vasto per il proprio sguardo attraverso la poesia. E la poesia per Yzu Selly era un modo di vivere più autentico, un modo non solo per dire no all'andazzo delle cose del mondo ma per esplorarlo, per esplorare il marciume che c'è fuori e dentro di noi. Si può condividere o no questo tipo di approccio alla vita, alla sua interpretazione ma in alcuni versi Francesco spiega tutto: "fare di ogni miseria ricchezza/ cogliere da ogni fiore/ la merda che l'ha nutrito". E' racchiusa qui tutta la sua poetica, l'esigenza che lo spingeva a scrivere, scrivere... Yzu vedeva il marciume ma non ci credeva o quanto meno lo combatteva a forza di parole, perché se dal marcio non riesci a cogliere il bello sei finito. "Canzoni per una stanza abbandonata" è un libro autobiografico nel senso più ampio del termine e se qualcuno potrebbe obiettare che questo senso non c'è, non esiste, Francesco glie lo dà, glie lo dà perché anche la sua biografia diventa un pretesto per parlare del mondo che lo circonda, quello di Yzu infatti non è un mero dire "io" Perché Yzu era in ascolto, era curioso e lo sanno bene i poeti, i bambini e gli scienziati che la curiosità è fondamentale, perché ti spinge a cercare di capire, di scoprire. Ti lascia intuire che nulla è banale, ma che di tutto ci si può stupire e che quello che sembrava evidente in realtà nasconde altre verità, altre possibilità. La poesia di Francesco sembra un corpo a corpo con la vita, con le cose del mondo quel mondo che spesso assomiglia a un oceano denso, in cui è difficile muoversi e lui lo fa con la poesia attraverso un linguaggio a volte ironico, a volte mescolato con espressioni in dialetto o del linguaggio parlato che conferiscono maggior impatto all'espressione poetica, a volte spiazzano per la crudezza del giudizio, del racconto. Emblematica la poesia XXXVII (Sette sbirri sulle scale):
sette sbirri sulle scale
chiedono se a casa mia c'è una festa
la musica l'ho già spenta e io
sono solo a casa a scrivere
"No! Scusa, ma c'hanno chiamato"
sette sbirri sulle scale
imbarazzati davanti alla porta
di casa mia... a raccontarlo non ci si crede
sì?... ma perché?... io sto scrivendo...
"poesie? ma... sto dando fastidio?"
"no, no... è che c'hanno chiamato"
"perché?... scusate se ho dato fastidio...
Pare il racconto surreale e kafkiano del mondo che irrompe nella vita del poeta, il mondo che è disturbato dallo scrivere del poeta, dal suo lieve battere sui tasti del computer per riscrivere le proprie leggi non contro le leggi del mondo, ma dentro di esse perché il poeta, benché molti pensino il contrario, è colui che più di ogni altro è immerso nella mondanità. Ci sta immerso con tutto il suo essere per rimandarcene la sua personale visione e se in questa visione ci ritroviamo vuol dire che è poesia.
Notizie ulteriori su Francesco Albano, alias YZU e sulla sua poesia è possibile trovarle su
scrivo per non perdere memoria del brutto.
l'incisione in muri di pietra
svilupparsi metamorfosarsi narrare
come registrazione e proiezione -
la vita come un block notes...
fare di ogni miseria ricchezza
la merda che l'ha nutrito
ogni goccia di profumo carpita
all'ignoranza dei corpi che incontro
donare quel po' di puzza
cerchi di salvare la tua vita
da bacarozzo in un processo
inverso di sublimazione
un mulo grasso montanaro
spolpato fino all'osso: questo,
nient'altro, sono - questo bene
lo so; ma c'è una cosa oscura
che non capisco chiaramente:
com'è che carne e pelle possano
ancora ostinate a durare.
un giorno, quanto prima, quando
sarà scaduto rancido e unto -
privato d'attributi e noia -
nessuno busserà urlando
a questa porta a reclamare,
a un dito medio inchiodato,
l'affitto di sto' corpo idiota.
quel giorno benedetto da un dio -
un dio qualsiasi, basta anche un io -
non resterà a me in putrescenza
che un ridicolo rammarico:
non aver trovato un attimo -
almeno avessi fatto un gesto! -
per dirle, raccontare la mia paura.
mi piace il suo imbarazzo
nell'affrontare un gesto
è impacciata non riesce
ho portato con me i tuoi occhi
ché i miei non bastavano
per inondare d'oro il mare
ho portato con me i tuoi occhi
perché cieco è il tempo che vivo
incosciente il mio sonno
incipiente la canizie distratta
dei miei guasti pensieri.
ho portato con me i tuoi occhi
ché mi raccontassero il bello
che vedo e non voglio vedere
e insistessero a vivere non il ricordo
ma - oltre ogni porta da guardiani
dormienti serrata - il presente.
senza più temere cecità
ho fissato il mio sguardo.
il cielo è azzurro sotto
e io non posso farci niente
ancora si muovono foglie
se penso a cose non vissute
ho il male e il desiderio
se penso a ciò che potevaccadere
solo fosse stato diverso
o al commiato trascorso
e la gelata è ormai passata
e io non posso farci niente
esiste solo questo pacchiano
rumore - e il cielo è azzurro.
Anime. Gli ubriaconi e i pazzi
raccontano storie inverosimili -
angeli scossi da fremiti umani -
generazioni perse d'incoscienza,
chiuse dentro una vecchia pelle.
Dicono che la nostra pazzia,
i nostri cuori disperati,
andrebbero disciplinati -
la nostra rabbia sarebbe allora utile.
Domani andremo mercenari
combatteremo guerre umane
pagati dal soldo spicciolo
Domani ci sarà una terra
da ricostruire - passeranno ancora
carri, saranno ben pagati:
l'occidua industria saprà provvedere -
elettrodomestici case
macchine dalle lamiere fulgenti.
Domani ci sarà il buon vino
E di noi, il ricordo, parole.