Le belle giornate invernali all’isola d’Elba non ci hanno distratto neanche un pò dal tema dei due capitoli. Come per una buona digestione è necessario masticare a lungo il cibo, così nella Bhagavadgita Krishna ritorna sui temi cruciali fino a quando Arjuna non li abbia completamente metabolizzati: la prakriti e la relazione col purusha, qui si trova il segreto della libertà di ciascun essere incarnato, nella conoscenza delle caratteristiche della materia e del soggetto che la sperimenta.Il rapporto materia-spirito ha percorso da sempre la storia dell’umanità con conseguenze enormi sulla vita individuale e sociale di tutti i popoli che hanno abitat o questo pianeta, se è vero che già i nostri cugini neandertaliani facessero riferimento ad istanze trascendenti. Tra le innumerevoli questioni affrontate durante il seminario, vorrei sinteticamente esaminare le differenze, se ci sono, tra la visione proposta dalla Tradizione rappresentata da Marco Ferrini e quella occidentale.
Mi ha colpito quel dialogo tra il Signore e Satana nel libro di Giobbe che inizia così:
“Un giorno le creature celesti si presentarono davanti al Signore. In mezzo a loro c’era anche Satana. Il Signore gli chiese: da dove vieni? Satana rispose: sono stato qua e là, in giro per la Terra. Hai notato il mio servo Giobbe? Chiese ancora il Signore. Poi aggiunse: in tutta la terra non c’è nessuno onesto e giusto come lui. Egli rifiuta il male perché serve Dio. Satana rispose: gli conviene rispettarti, lo credo bene, tu proteggi lui, la sua famiglia e tutto quel che possiede… ma prova a toccare le sue proprietà e vedrai come bestemmierà anche lui. Il Signore disse a Satana: D’accordo, fa quel che vuoi delle sue proprietà, ma non toccare la sua persona.”
Non sembra il dialogo tra il principio del bene e quello del male.
Così in Genesi, una volta scoperti dal Signore, i nostri due antenati scaricano la responsabilità di aver mangiato il frutto proibito l’uno sull’altra e infine sul serpente tentatore: “La donna che mi hai messo al fianco mi ha offerto quel frutto e io l’ho mangiato (dice Adamo). Dio si rivolse alla donna e disse: Che cosa hai fatto? Rispose la donna: il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato.”
C’è qualche similitudine col dialogo tra Francesca e Dante nel V dell’Inferno, dove l’amante di Paolo si scagiona dalla responsabilità con la famosa chiusa galeotto fu il libro e chi lo scrisse.
Cosa c’entrano con la prakriti e il purusha?
In occidente il rapporto tra spirito e materia si è talmente problematicizzato che fin dai primi padri della chiesa si assiste a rudi pratiche di mortificazione del corpo, Origene (II sec d. C.) ad esempio era molto ammirato per essersi auto castrato.
Ho citato il libro di Giobbe e Genesi perché in tutti e due i casi il male sembra provenire dall’esterno: una scommessa divina che possiamo interpretare anche come la fiducia di Dio nelle sue creature ed il serpente tentatore che rompe l’incanto del paradiso terrestre. Questi episodi possono essere letti anche metaforicamente e d’altra parte, nella letteratura vedico-puranica, si aggirano mostruosi demoni e potenti asura, insieme ad imperturbabili saggi o addirittura celesti divinità che perdono la loro purezza a causa di un atto di lussuria o di superbia.
Ma nella Bhagavad-gita le cose stanno diversamente.
In questi due capitoli Krishna spiega al suo discepolo che Questo corpo è chiamato “campo” e colui che lo conosce viene chiamato dai sapienti “conoscitore del campo” e Dio è tale anche perché è il conoscitore del campo di tutti i “campi” e la vera conoscenza, secondo il Signore, consiste nella conoscenza del “campo” e del “conoscitore del campo”. Così inizia la XIII lettura.
Qui il discorso è diretto, il metodo sistematico e puntuale, l’analisi psicologica dettagliatissima. Krishna parla dello spirito (Brahman) e della materia (prakriti) come farebbe uno scienziato, spiegando molto chiaramente che non c’è contraddizione tra queste due energie, entrambe sono infatti promanate da Lui stesso.
Questa è la base filosofica della teologia esposta nella Bhagavad-gita, una visione che va riferita alla disciplina Samkya, la più antica tra le filosofie, largamente condivisa dalle innumerevoli sampradaya indiane, con la geniale intuizione che fa la differenza fondamentale tra pensiero occidentale ed indiano classico di catalogare la psiche tra gli elementi costituenti la prakriti, mentre per la mentalità occidentale, fin dalla Grecia classica, c’è sempre stata una certa confusione tra anima e psiche, tra pensiero ed essenza, infine tra io e sé.
Matsyavatara ci ha ricordato che la dottrina esposta nella Bhavadgita segue sempre l’etica della responsabilità individuale, è la lotta tra il bene e il male che si gioca dentro ciascuno di noi, non ci sono diavoli caprini, non c’è demonizzazione della carne, al contrario questa preziosa energia (Maya) è una figlia devota del Signore, lo strumento attraverso il quale è possibile recuperare la nostra originalità: la materia fornisce gli strumenti per la liberazione dagli attaccamenti che impediscono la lucida visione, a partire proprio da quella sofisticatissima struttura mentale che nel suo insieme funzionale chiameremo psiche.
Nel primo verso della Bhagavadgita si trovano i termini dharma-kshetra kuru-kshetra: kshetra significa sempre campo, ma nel primo verso del primo capitolo è il campo di battaglia dove si trovano Arjuna e Krishna, nel tredicesimo kshetra è il corpo umano nel suo complesso psico-fisico, sarà solo una metafora?
Dal risultato di questa lotta interiore può scaturire libertà o schiavitù e non c’entra niente col disprezzo del mondo tanto caro a papa Innocenzo III (quello della crociata contro i Catari), non è la materia il nemico da combattere, ma l’asservimento ad istanze che soggiogano il nostro libero arbitrio alle dinamiche coatte della materia che noi mettiamo in moto quando ci scolleghiamo dal polo luminoso che Jung chiama sé e le Upanishad atman.
Graziano Rinaldi
Tagged: Bhagavadgita, marco ferrini, matsyavatara