Capa al cinema

Creato il 30 aprile 2014 da Francosenia

Robert Capa e il cinema
di Federico Cartelli

Reso celebre come fotoreporter da un’iconografia che lo mostra in uniforme e anfibi sui teatri di guerra di mezzo mondo, è alquanto singolare immaginare Robert Capa fra le risaie del vercellese in veste di fotografo di scena per il film neorealista Riso amaro girato nel 1948. Ma che c’entra Robert Capa in Piemonte? Forse ad attirarlo sul set del regista Giuseppe De Santis era stata l’attrice americana Doris Dowling, sua fiamma del momento, impegnata nel cast insieme con Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Raf Vallone. Comunque sia, il rapporto fra Capa e il cinema è stato piuttosto solido e lo approfondisce la mostra, la cui locandina lo ritrae mentre imbraccia una cinepresa, Robert Capa. La realtà di fronte allestita nella scenografica Villa Manin a Passariano di Codroipo. È la sola retrospettiva europea in corrispondenza col centenario della sua nascita che cadrà il prossimo 22 ottobre (in Italia c’è anche una mostra a Roma, presso Palazzo Braschi, tutta dedicata ai suoi scatti sullo sbarco degli alleati).
La rassegna friulana, promossa dalla Regione, l’Azienda speciale Villa Manin, è frutto di una collaborazione con Magnum Photos di Parigi e il Centro internazionale di fotografia di New York. Dei 180 scatti esposti, la sezione più intrigante, e la meno esplorata finora, è quella relativa al cinema. La foto che ritrae Capa mentre maneggia una cinepresa da 16mm venne scattata in Spagna da Gerda Taro, compagna di vita e di lavoro dell’età giovanile. La stessa foto è stata poi pubblicata nel dicembre 1938 sulla copertina della rivista inglese Picture Post che, nella didascalia, definì Capa «il più grande fotografo di guerra al mondo». Prese così avvio nel corso della guerra civile spagnola, parallelamente alle riprese fotografiche, l’attività filmica di Bob. Il documentario Espagne 1936, diretto da Jean Paul Le Chanois e prodotto da Luis Buñuel, ne fornì una prima testimonianza. Capa collaborò alle riprese che vennero effettuate dal cineasta russo Roman Karmen. In Spagna, continuò a lavorare, con puntate a tema, per i filmati del cinegiornale americano March of time (“Il corso del tempo”), notiziario seguitissimo dal pubblico statunitense. I primi nove mesi del 1938 li trascorse in Cina al seguito della troupe del cineasta olandese Joris Ivens. Impegnato in documentari dal taglio socio-politico, Ivens girò le sequenze de I 400 milioni, incentrato sulla guerra cino-nipponica vista dalla parte dei nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek. L’attore dell’epoca Fredric March, nel documentario, prestò la voce narrante. Dal 1942 al 1945 Capa fu poi corrispondente per Collier’s e Life dai fronti di guerra in Africa settentrionale, nel Mediterraneo e in Europa. È in quegli scenari che gli si offrì l’opportunità d’incontrare e allacciare amicizia con noti registi di Hollywood i quali lavoravano, a beneficio della propaganda bellica, per l’esercito a stelle e strisce: John Huston, George Stevens, Alfred Hitchcock realizzavano i notiziari cinematografici che venivano proiettati nelle sale delle città americane.

Quei personaggi torneranno utili a Capa nell’immediato dopoguerra allorché il fotografo intensificò il rapporto, anche per ragioni di carattere sentimentale, con l’ambiente del cinema. Incontrò, infatti, Ingrid Bergman e nacque un amore. La loro storia andò avanti - tra frequentazioni e lontananze - per un paio di anni. Parigi stregò Capa fin da quando vi giunse la prima volta, a vent’anni; e non solo perché la capitale francese rappresentava il centro mondiale della fotografia. Ai principi dell’estate '45 Capa si aggirava con Irwin Shaw, drammaturgo e sceneggiatore, nei pressi del Ritz, quando gli arrivò la soffiata che nel lussuoso albergo soggiornava Ingrid Bergman. Il fotografo mollò l’amico e agganciò l’attrice per strapparle qualche scatto. Non ci volle molto per andare a cena insieme. Ma la scintilla non scoccò nella stereotipata e romantica Parigi, bensì nella disastrata Berlino, ridotta a un cumulo di macerie. Alcuni interni della città fecero da stridente sfondo ai primi piani che Capa rubò alla seducente attrice. Lei aveva un marito in Svezia, ma si dichiarò pronta a lasciarlo per l’improvvisa attrazione verso quel fotografo scanzonato, dai tratti somatici mediterranei. E lui, da parte sua, non si lasciò pregare: la seguì a Hollywood, sperando di aprire le porte, molto prosaicamente, per entrare nel cinema come fotografo di scena.

Capa si rivelò presto insofferente alla vita sedentaria, anche se ebbe la possibilità di lavorare sul set dei film in cui era impegnata la Bergman: Notorious di Hitchcock del ’46 e Arco di trionfo di Lewis Milestone del ’48. Alla richiesta dell’attrice di sposarsi, fece marcia indietro. Nello stesso anno, tornò in Italia. L’aveva risalita dalla Sicilia fra il ’43 e il ’44 al seguito delle armate degli alleati. Si spostò nei dintorni di Vercelli, catalizzato da un’altra attrice, Doris Dowling, che recitava in Riso amaro di De Santis. Il 1947 era stato l’anno di Magnum Photos. Capa, che fu autore del progetto che dette vita all’agenzia fotografica, si recò in Turchia a realizzare un documentario per il cinegiornale March of time. Il nome Magnum, dato all’agenzia, era un omaggio all’ottimo champagne francese che Capa e soci stappavano senza risparmio in ogni occasione. Alcol, fumo e donne, oltre al gioco, hanno costantemente dominato il suo tempo libero. Gli anni ’50 si aprirono invece con un reportage in terra d’Israele, il terzo per il fotoreporter dopo la guerra del 1948. Nel paese mediorientale si fermò circa due mesi per girare un documentario per conto dell’Uja, l’influente organizzazione ebreo-americana, sui sopravvissuti della shoah che, sbarcando nel porto di Haifa, divenivano cittadini israeliani. Il documentario intitolato The journey (“Il viaggio”), poco meno di trenta minuti di proiezione, sarà visibile per la prima volta durante la mostra friulana. Ancora nel 1950 ottenne da registi del livello di John Huston, suo vecchio amico, e Howard Hawks l’esclusiva per la ripresa fotografica dei loro film. La collaborazione con il cinema proseguì e nel 1952 Capa si trovò a Roma, sulle scene del film La carrozza d’oro di Jean Renoir, girato interamente a Cinecittà, con protagonista Anna Magnani. Con John Huston si reincontrò di nuovo per Moulin rouge interpretato da Josè Ferrer e Zsa Zsa Gabor; nel ’53, ancora con Huston, era sul set di Il tesoro dell’Africa. Le riprese avvennero a Ravello sulla Costiera amalfitana, dando luogo a una rimpatriata fra amici. Oltre a Huston, c’erano l’icona Humphrey Bogart e il geniale Truman Capote, in veste di sceneggiatore, le protagoniste femminili della pellicola Jennifer Jones e Gina Lollobrigida. Per Capa, stando in Italia, sarebbe stato più facile spostarsi dalla Costiera a Cortina d’Ampezzo per fare un reportage, incaricato dalla rivista Holiday, sulla mondana località sciistica. In quell’anno Capa fu anche sul set del film La contessa scalza di Joseph Mankiewicz con la diva dell’epoca Ava Gardner e ancora «Bogie» Bogart. Alcune scene di lavorazione vennero girate sulla riviera ligure, fra Sanremo e Portofino. Alla mostra di Villa Manin non poteva mancare la sezione di ritratti su di lui, Capa, eseguiti dai colleghi più cari del suo tempo: compagne di passione, come Gerda Taro; compagni di avventura, come Henry Cartier-Bresson.


- Federico Cartelli - da "Alias - Il Manifesto - 19 ottobre 2013 -


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