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Càpita di leggere: Cesare Garboli e i granchi omosessuali

Da Anellidifum0

E’ una polemica del 2003, ci capito oggi per la tesi di dottorato:

“Dramma” di Cesare Garboli, La Repubblica 5 gennaio 2003, 32.

[...] Per questa ragione lamentavo, nel mio articolo, lo scarso contributo dato all’ omosessualità dalla letteratura romanzesca. Uno o due romanzi di genio avrebbero potuto dirci, su questo argomento, quel che più ci interessa e che non sappiamo. Romanzi, intendo, non frammenti di sincerità come in Gide, o di diario o discorso amoroso, come in tanti autori e narratori autoreferenziali venuti dopo, a confessarsi nel secolo appena trascorso. Modelli, dico, prototipi, archetipi romanzeschi: un Werther omosessuale (era l’ esempio che facevo), o un Rouge et noir. Ricordo la sorpresa che si produsse nei lettori quando uscì Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, piccola epopea dove campeggia, come tutti sanno, una famiglia ebraica. Ebbene, nel raccontare se stessa la Ginzburg non sottolinea mai il «problema ebraico», non se ne cura, e parla della sua famiglia come se si trattasse di una qualunque altra famiglia italiana. Non era questo il modo migliore per dirci che siamo tutti uguali, ebrei o cristiani che siamo? Mio dio, come mi piacerebbe leggere un romanzo, un vero romanzo, dove una storia d’ amore omosessuale mi sia raccontata senza gli eterni sottofondi connessi alla tematica dell’ omosessualità come problema. [...] (2003, 42)

Queste parole di Garboli suonano, almeno nella loro prima parte, come incaute e denunciano una conoscenza insufficiente dell’apporto della letteratura omosessuale in particolare riguardo alla forma romanzo. Constatiamo subito – ma senza comprenderne il motivo – che il critico espunge dalla letteratura omosessuale i suoi massimi esemplari, dal Ritratto di Dorian Gray alla Recherche, da La signora Dalloway a Morte a Venezia, probabilmente perché considera queste opere come capolavori della letteratura mondiale da non restringere nel campo della letteratura omosessuale. In realtà abbiamo già spiegato che l’appartenenza alla categoria della letteratura omosessuale non impedisce né pregiudica – a meno di essere omofobi – la contemporanea appartenenza ai capolavori della letteratura universale. Garboli però dimentica anche apporti prettamente omosessuali, quali, solo per citare i più noti, Maurice (1913) di E.M. Forster, Billy Budd (1924) di Herman Melville, Notre-Dame-des-fleurs (1942) di Jean Genet, La statua di sale (1948) di Gore Vidal, Altre voci, altre stanze (1948) di Truman Capote, Memorie di Adriano (1951) di Marguerite Yourcenar, La stanza di Giovanni (1956) di James Baldwin, Un uomo solo (1964) di Christopher Isherwood, I racconti di San Francisco (1978) di Armistead Maupin, Il giovane americano (1982) di Edmund White, La lingua perduta delle gru (1986) di David Leavitt, Una casa alla fine del mondo (1990) di Michael Cunnigham, Scritto sul corpo (1994) di Jeanette Winterson. Restringendo il discorso alla sola letteratura italiana, Garboli non considera o non ricorda romanzi fondamentali, certo minori rispetto a quelli di Proust, Woolf o Wilde, ma sempre di grande importanza per la letteratura omosessuale: da Lettere da Sodoma (1977) di Dario Bellezza, a Seminario sulla gioventù (1984), di Aldo Busi, da La morte della bellezza (1987) di Giuseppe Patroni Griffi a Un delitto fatto in casa (1996) di Gianni Farinetti. E, ancora, nessun accenno del critico alla produzione tondelliana, quasi che opere come Camere separate o Pao Pao non siano validi esempi di letteratura omosessuale. Forse tutti questi lavori sono per Garboli dei “non romanzi”, dei semplici “frammenti di sincerità, di diario o di discorso amoroso”? Una parte del lamento di Garboli sembra invece condivisibile, quando stigmatizza “gli eterni sottofondi connessi alla tematica dell’omosessualità come problema”; ci permettiamo però di aggiungere che proprio nella produzione tondelliana abbiamo esempi di archetipi romanzeschi omosessuali nei quali l’orientamento sessuale dei personaggi non serve come lamento o come problema, bensì è dato gioiosamente per scontato e posto in una sua luce di quotidianità, senza nemmeno assurgere a tema principale del romanzo. (Riproduzione riservata, 2010)


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