CAPITANO
L’immaginazione non può muovere le montagne,
ma può creare qualcuno che lo sappia fare.
T. Pratchett
Entrai nello stanzino in fondo al corridoio – che affettuosamente chiamavamo “ufficio” – con tanta foga da andare quasi a sbattere contro la pila di scatoloni di fianco alla scrivania di Jack.
“Guarda qua”, lo salutai ficcandogli il Daily sotto il naso. “Pure gli italiani ci si sono messi”.
Come risposta ebbi un “uhm”, e nemmeno un’occhiata.
Feci il giro attorno agli scatoloni e sedetti di peso al mio posto. Spostai una boccetta di china e un mazzetto di fogli da inchiostrare, spiegai il giornale sul tavolo, a pagina due.
“Senti, lo dice anche Roosevelt: non possiamo permettere che gli Stati Uniti diventino un’isola, un’isola solitaria nel mondo dominato dalla filosofia della violenza. Un’isola che si avvia… Oh, insomma, intende che non possiamo fregarcene di cosa succede là!”
Jack rispose con un cenno della testa, ma non sembrava mi stesse davvero ascoltando. Tracciava schizzi su un foglio, in modo quasi casuale, con la mano lasca che sorreggeva appena la matita.
Avevo imparato che, quando faceva così, stava inventando qualcosa.
“Credo che dovremmo andare a tirare un calcio nel culo a quel nano”, conclusi a bassa voce, ancora preso dalla rabbia ma preoccupato di fargli perdere l’ispirazione.
Jack alzò di scatto gli occhi dal foglio e li puntò nei miei. Ardevano.
“Esatto Joe, esatto”, mi disse con un sorriso che su quel grugno pareva più una smorfia. “Un bel calcio nel culo. Al nano. Proprio così”. E riprese a disegnare, con molto più impegno di prima.
Cercai di sbirciare il foglio, per capire a che idea stesse dando vita. Vidi solo un paio di occhi incazzati, ripassati tanto da bucare quasi la carta, una mascella squadrata delle sue, e poco altro sotto.
“O un bel pugno sul mento. Perché non un diretto al mento, eh Joe? Come copertina ci starebbe una favola, no?”, mi chiese senza degnarmi di un’occhiata. Aggiunse una bocca dai denti smaglianti, aperta in un urlo rabbioso.
“Copertina di che?”, provai a chiedere. Mi alzai e, circumnavigando lentamente il disordine, mi misi alle sue spalle. “Idee per il mese prossimo?”
Annuì vigorosamente, mentre tracciava con pochi gesti veloci una spalla muscolosa e un bicipite gonfio. “Magari anche più di un mese, chi lo sa quando finisce la guerra”, profetizzò.
Lo guardai aggiungere anche l’altra spalla, un torace possente, due gambe da atleta e un paio di righe squadrate al posto dei piedi.
“I piedi ti vengono da schifo. Fagli gli stivali. No, non lisci, faglieli da pesca”.
Mi chiese perché con uno sguardo. Alzai le spalle. Mi ero solo stufato degli stivali lisci.
Jack gonfiò ancora un po’ le gambe e le braccia, aggiunse i quadretti degli addominali, ma cambiò subito idea e li cancellò.
“Gli faccio la tuta”, dichiarò spazzando con la mano le molliche della gomma.
“Perché è così muscoloso? Ci hai già pensato?”
“Pensavo a un super siero, magari un esperimento di laboratorio, qualcosa che lo renda speciale e invincibile”.
“Invincibile… contro il nano?”
Mi rispose con un altro, raro sorriso. Voleva proprio tirare un calcio al nano. O un pugno sul mento.
Lo lasciai alla sua tuta e andai a prendere due tazze di caffè, pensando nel tragitto a chi potesse essere il tizio muscoloso in grado di far fuori quel coglione di Hitler.
Quando tornai in “ufficio” gli porsi una delle due tazze e un’idea: un soldato, con la mentalità adatta e le conoscenze giuste per combattere. Un soldato che viene pompato in laboratorio, così potente da far fuori tutti i cattivi. Un po’ infantile, forse, ma chi non avrebbe amato un superpatriota che picchia i cattivi?
Jack rise e ci aggiunse del suo: un soldatino qualsiasi, uguale ai nostri ragazzi, uno qualunque. Magari addirittura scartato alla leva, troppo magro, sai che spasso. Ma si presta all’esperimento con gioia, perché ama il suo paese. E va a fare il culo a Hitler.
Mi mostrò la bozza che aveva finito nel frattempo.
“Hai copiato The shield, guarda che se ne accorgono, Jack”.
“Non l’ho copiato. Questo ha una stella sola, The shield ne ha un numero totalmente a caso. Ho più stile, io”, disse serio.
“Ti concedo che il tuo è più aerodinamico. Metti mai che voli… Ma i colori sono uguali”.
“Pignolo. Ok, li inverto”.
Cancellò “rosso” e scrisse “blu”, in piccolo, su gambe e braccia. La stella sul petto la lasciò bianca.
“Oh, beh, se proprio bisogna copiare, almeno rendiamola una citazione. Fagli uno scudo”.
Jack sogghignò e con un paio di righe ben tirate gli mise in mano uno scudone a tre punte.
“Può andare”, sentenziai. Poi mi dedicai al caffè e a una storia che stesse in piedi per questo super soldato.
Immaginai la sua faccetta spaurita ma determinata mentre si offriva per l’esperimento, mi chiesi se al momento della trasformazione ci sarebbero state meglio le lame gialle o una fiammata, gli diedi un nome provvisorio, mi piaceva Roger, o Donald e…
“Jack, come lo chiamiamo?”
“Super Soldier?”
“Banalissimo”
“Super American!”
“Un altro Super? Non ce ne sono già abbastanza?”
Jack fece fuori mezza tazza di caffè in un sorso solo. Ne riemerse con un “aaaaah” soddisfatto.
“Capitano”, sussurrò al foglio. Pareva gli parlasse. “Capitan America”.
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I racconti commemorativi di È scrivere
Evento: Capitan America
Biografia (da Wikipedia):
Capitan America (Captain America), il cui vero nome è Steven Rogers (detto Steve), è un personaggio dei fumetti creato da Joe Simon e Jack Kirby nel 1941, pubblicato dalla Timely Comics (in seguito Marvel Comics).
Detto affettuosamente “Cap”, nonché “Sentinella della Libertà” (poiché incarna gli ideali di libertà e giustizia del popolo statunitense) e “Leggenda Vivente” (in quanto fonte di ispirazione per tre generazioni di eroi), è un supereroe tra i più famosi e longevi.
Il personaggio è nato come elemento di propaganda durante la seconda guerra mondiale, dove rappresentava un’America libera e democratica che si opponeva ad un’Europa imperialista e bellicosa, ed ebbe un grande successo di pubblico; tuttavia con la fine del conflitto perse la sua popolarità, nonostante un (vano) tentativo di riciclarlo come cacciatore di comunisti durante i primi anni della guerra fredda.
L’autore:
Bee
Chi sonoSono una più che trentenne emotiva e compulsiva. Mentalmente iperattiva, ma fisicamente vegetante. Fumo come il proverbiale turco, adoro i cartoni animati, perdo troppo tempo in rete, parlo da sola (anche in pubblico), faccio i crucipixel a penna. E scrivo, ogni tanto, per lo più storie che non hanno un finale.