Capitoli 7,8,9

Da Marcotrogi
Capitolo 7
“Sembra quasi che tutti aspettino ’ggiorni di festa pe’ stà male”, pensò
Mario cercando disperatamente un pensiero scemo per distrarsi, per non
pensare che era la seconda volta che le salvava la vita. La prima aveva due
anni e fu grazie al suo rude ma efficace intervento che Laura non morì
soffocata. Adesso era la seconda ma questa volta Mario si sentiva però un
verme. In qualche modo, anche se la ragione lo scagionava, lui si sentiva
sulle spalle il peso della responsabilità, il fardello della colpa…
Era Pasqua e c’era un bel da fare nella trattoria ma nonostante ciò,
inspiegabilmente, Mario sentì a un certo punto il bisogno di chiamare Laura.
Lei era da sola a casa e non rispose al telefono, fu così che Mario, senza
neanche dare spiegazioni, mollò tutto lì e corse a casa: Laura era sul letto,
rannicchiata su un fianco, sembrava che dormisse, poi la corsa in ospedale.
Adesso Mario era lì, seduto in un angolo del Pronto Soccorso, con gli
occhi umidi e il cuore in mano, pronto a donarlo se mai qualcuno gliel’avesse
chiesto. Accanto aveva Rosa, in un orgoglioso e penoso silenzio, Mario si
voltò un poco per guardarla, provò tanto amore per lei quanto non ne aveva
mai provato. Socchiuse gli occhi un attimo e quando li riaprì, si guardò intorno
realizzando che c’era veramente tanta gente quel giorno in ospedale e
qualcuno lo conosceva pure: c’era la Leda, l’inquilina del piano di sotto,
aveva un braccio ingessato, “Chissà ora ’e processione sotto ’asa”, pensò
Mario, c’era Giuliano l’allenatore di Massimo, infine c’era l’Avvocato De
Santis, un tipo alquanto discusso che stava parlando animosamente con un
ragazzo alto, biondo e col pizzetto.
Non finì di osservare il ragazzo che dall’altoparlante chiamarono:
– Signori Maffei.
Laura era fuori pericolo.
I Dottori dissero che era necessario che la ragazza restasse in osservazione
un paio di giorni, aveva assunto troppi psicofarmaci e inoltre avrebbe
dovuto, secondo protocollo, passare una visita psichiatrica prima di poter
essere dimessa. Rosa chiese di passare la notte assieme a Laura, ma fu
invano.
Era ormai mezzanotte passata, Mario e Rosa si avviarono stanchi verso
casa, avevano entrambi dieci anni di più del giorno prima. Arrivati a casa,
Rosa scese dall’auto per aprire il cancello quando in quel mentre squillò il
telefonino di Laura che Mario aveva ancora con sé:
– Pronto c’è Laura?
– Chi parla? – Chiese sorpreso e preoccupato Mario.
– Sono un amico di Laura. – Rispose lo sconosciuto, con una voce più da
adulto che da ragazzo.
– Laura non c’è, non c’è per nessuno! – Disse Mario, alzando il tono
della voce.
– Per nessuno? …Perché? È morta? – Domandò lo sconosciuto, con
sinistro sarcasmo.
Mario non ebbe la forza né le parole per rispondere, ebbe solo un sussulto
che gli fece cadere il telefono dalle mani e quando lo raccolse, lo sconosciuto
aveva riagganciato. Controllò il registro delle chiamate ma il numero
risultava avere identità nascosta. Mario rimase immobile col motore acceso,
mentre Rosa gli faceva segno di muoversi.
Non disse niente a sua moglie per non spaventarla ma non chiuse occhio
per tutto il resto della notte.
La mattina seguente arrivò Marzia, la sorella di Mario, nella concitazione
degli eventi nessuno aveva pensato di avvisarla, avevano comunque provveduto
i cari paesani.
Torre del Lago in fondo era un “paesone” dove ancora si riusciva a
sapere tutto di tutti più velocemente che con Internet.
Marzia era la zia più vicina a Laura ed era naturalmente informata della
storia e dei suoi retroscena.
– Ti riòrdi, qualche anno fa, la moglie del Dottor Bertuccelli? Fu una ’osa
molto simile, uscì anco sul giornale. – Disse Marzia, rivolta a Rosa.
– No, non me lo riòrdo. – Rispose Rosa.
– C’era in giro la voce che ci fosse un giòo, con un cacciatore e una
preda, dove il cacciatore vinceva se portava la preda al suicidio. Non ti
sembra strano questo, messo insieme a tutto il resto? – Domandò Marzia.
Mario, che stava apparecchiando, si fermò per ascoltare.
– Anco lì, la moglie del Bertuccelli, s’invaghì di uno, uno che ’un aveva
mai visto, pe’ telefono. Solo che le’ delapòvera… le’ finì al Camposanto. –
Concluse Marzia, abbassando gli occhi sull’ultima parola, rendendosi forse
conto del peso della stessa.
e non potevano certo aspettare di svegliarsi, rischiava di essere troppo
tardi. Mario decise così che era il momento di parlarne seriamente con Luca.
– Effettivamente è una storia strana. – Disse il Vannucci. – Ma ’un ci
sono elementi tangibili per cui procéde’ o almeno lavorà. Mi riòrdo anch’io
di vella storia, ma la signora Bertuccelli era ancò nota per ì ssu’ problemi di
depressione. Quello che posso fa’, ma in via informale e in nome della nostra
amicizia, è controllà se questo tipo ha de’ pprecedenti. Non ti stò a di’
Mario che non potrei fallo senza denuncia ma d’altronde dimmi te: che denuncia
possiamo fa’? Come ti dissi l’altra volta, Laura è maggiorenne,
consenziente e non si pò dimostrà che qualcuno l’ha spinta al suicidio. Ti
devi tòglie dalla testa questi teoremi e pensà a Laura soltanto a lei.
– E cosa credi ’e stia facendo?! – Rispose Mario duramente.
– Non è certo leggendo libri gialli che la poi aiutà. – Replicò Luca a tono.
– Si vede vai che ’un è la tu’ figliola. – Disse Mario, voltandogli le spalle
e andando via.
Mario poteva pensare che non gliene fregasse nulla, ma non era vero, a
Luca stavano molto a cuore lui e tutta la sua famiglia, e poi effettivamente la
cosa stava in piedi, c’erano troppe analogie e, com’è purtroppo noto, la
mamma degli imbecilli è sempre incinta. Luca, a questo punto, decise a titolo
personale e soprattutto senza dire niente ai Maffei di fare qualche ricerca o
perlomeno qualche verifica.
 
Capitolo 8
– ’Un è pe’ cattiveria, ma ti rendi ’onto a che punto t’ha portata? – Disse
Mario.
– Forse ’un è il momento di parlànne, ’un lo vedi? È ancora scossa! –
Intervenne Rosa.
– No, state tranquilli, va tutto bene, mi fa bene parlànne invece. – Rispose
Laura, con voce flebile ma serena, il gesto le aveva come ripulito di colpo
gli occhi e resettato il cervello. Indubbiamente Andrea, la sua voce, la sua
presenza le mancavano, non si era mai sentita così importante e viva come
in quei giorni ma cominciava anche a rendersi conto dell’assurdità di tutto,
soprattutto di quel gesto, che era fortunatamente fallito grazie solo all’intervento
del suo papà, quell’uomo di fronte al quale adesso provava vergogna
e che non riusciva nemmeno più a guardare negli occhi. Sapeva che suo
padre l’aveva perdonata perché le voleva bene, perché lui viveva per lei, lo
aveva sempre saputo, ma sarebbe mai riuscito a dimenticare? Suo padre
sarebbe mai riuscito a rimarginare quella ferita che lei, così stupidamente, gli
aveva inferto?
– M’hai detto che faceva il carpentiere, ma lavorando tutto il giorno mi
spieghi come poteva stà in continuazione al telefono con te? – Continuò
Mario con il tono più dolce che lei avesse mai ascoltato. – Te hai visto una
fotografia che poteva esse’ di chiunque e te ne sei innamorata… ma ’un ti
sembra pogo? ’Un ti sembra assurdo? Poteva esse’ uno grande come me!
Un depravato, un maniaco sessuale! Ma possibile che te ’un ti sei mai chiesta
perché questo tizio, quest’Andrea, ha sempre rifiutato di fassi guardà
nelle palle dell’occhi?
Laura si alzò di scatto dal divano e abbracciò suo padre con forza, Mario
fu colto di sorpresa, provò un’emozione talmente intensa che mai in vita sua
aveva provato, sentì tutta la sua paura trasformarsi in amore puro, quel
sentimento incontaminato ed eterno che si può provare solo verso un figlio.
Mai come allora comprese in pieno quanto aveva rischiato di perdere, quanto
gli stavano per rubare. Padre e figlia si dissero un’infinità di cose senza
nemmeno parlare, finché a Laura non uscì un filo di voce:
– Ti voglio bene papà.
– Ben tornata passerotto. – Rispose Mario col nodo in gola.
La primavera aveva ormai invaso ogni angolo della Versilia e più che mai
casa Maffei.
Laura riprendeva ogni giorno di più il controllo della sua vita, assaporando
la felicità di non averla gettata via.
Tutti ebbero modo di parlare ancora e tanto, comprendendo quanto importante
e bello fosse farlo. Mario le raccontò delle sue paure e anche di
quella storia del gioco con il cacciatore e la preda di cui gli avevano parlato.
Raccontava come se per tutto quel tempo lei non fosse stata lì e Laura
chiedeva con la stessa curiosità di qualcuno che era mancato da lungo tempo.
Rosa non avrebbe mai pensato di vedere in Mario così tanto amore per
Laura, non che Mario non volesse bene a Laura, anzi, ma il fatto che in
fondo non era sua figlia naturale, aveva sempre fatto temere a Rosa che alla
lunga sarebbero usciti due pesi e due misure. Adesso però, vederli così insieme,
felici l’uno dell’altra, aveva fatto svanire del tutto quei fantasmi.
Mario e Rosa ci avevano provato a lungo ad avere un figlio, ma poi alla
fine dovettero rassegnarsi. “In fondo se Dio non voleva darle questa gioia
era segno che un buon motivo c’era”, aveva sempre pensato Rosa, facendosene
di questa filosofia una ragione.
Fu Mario ad avere l’idea, Rosa ricordava ancora le sue parole:
– Evidentemente lassù han’ deciso che ci son’ troppi figlioli in giro che non
hanno la fortuna d’avé una famiglia. Forse è questo, quello che ci vòglino di’.
Laura fu adottata che era molto piccola, non aveva compiuto neanche un
anno. Rosa ricordava ancora l’agitazione e l’emozione che provò quando la
prese in braccio per la prima volta e poi ancora la paura e l’imbarazzo di
Mario, quando volle lui portarsi al petto e stringere quel piccolo passerotto,
come Mario la chiamava, con Luca e Luisa accanto a loro che se la ridevano
come matti.
Ma la vita si sa è fatta a modo suo e quindi, a dimostrazione che se vuole,
prende tutti per il culo, arrivò così Massimo. Ci passavano sette anni tra
Laura e Massimo e otto, Mario e Rosa, li trascorsero a vantarsi di avere il
numero ideale di figli, fin quando non arrivò Chiara che stabilì definitivamente,
che il numero giusto doveva essere il tre.
– Sai papà, mentre ero in ospedale ho fatto un sogno, o meglio non lo so
se ho sognato o se è successo per davvero: a un certo punto è passato a
farmi visita un ragazzo, alto, bello, chissà forse era un angelo. Mi ha chiesto
come stavo e mi ha fatto una carezza.
– Ce l’aveva l’ali? – Domandò scherzosamente Mario.
– No dai, ’un mi prende in giro. – Rispose Laura.
– Aveva i capelli biondi, corti e aveva anche la barbetta… come si chiama?...
Il pizzetto!
A Mario passò di colpo la voglia di scherzare, gli venne a un tratto in
mente la scena al Pronto Soccorso: il ragazzo che parlava con l’Avvocato
De Santis, da come Laura l’aveva descritto sembrava proprio lui.
L’Avvocato De Santis, si diceva intrallazzasse con una certa piccola
malavita organizzata che operava in Versilia, se non fosse stato per questo
forse Mario non gli avrebbe mai dato peso, ma i personaggi frequentati di
solito dall’Avvocato, erano veramente inquietanti. Il De Santis possedeva
un’impresa edile e nel contempo aveva quote associative in diversi locali
notturni un po’ in tutta la Versilia. Era stato in passato accusato di favoreggiamento
all’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione ma,
grazie ai soliti cavilli legali, ne era ogni volta uscito, pressoché, pulito.
Cosa volevano da Laura? Cosa volevano da lui? In passato, Mario, aveva
avuto qualche screzio con alcuni soggetti di quel calibro ma lui, coerente
col suo carattere, aveva tenuto loro testa, “Che fosse una sorta di vendetta?”
Pensò Mario. Non disse niente a Laura e a nessun altro, nemmeno a
Luca, gli era bastata l’ultima risposta che l’amico gli aveva dato per capire
che, se c’era un problema, lo poteva unicamente risolvere da solo, come
sempre. Aprì la cassaforte, prese in mano la Beretta, vi inserì il caricatore e
se la mise dietro la schiena, era ora di uscire, c’era Massimo da portare
all’allenamento.
 
 Capitolo 9
Mancavano ormai poco meno di due mesi agli esami, non era molto per
rimettersi in carreggiata ma Laura si sentiva in grado di riprendersi, bastava
soltanto riuscire a concentrarsi un pochino di più. Rosa aveva parlato con il
Preside e i professori della scuola e loro si erano mostrati molto comprensivi
e pienamente disponibili ad aiutare Laura.
Anche Federica, Stefania e il suo fidanzato, cercavano in qualche modo
di stargli vicino, non passava giorno che non trovassero una scusa per passare
da casa o perlomeno per telefonarle. Le avevano persino chiesto di
ricominciare a uscire il sabato sera, invito che Laura aveva timidamente
declinato. Lei capiva che le avrebbe fatto bene uscire e distrarsi, ma non si
sentiva forse ancora abbastanza “sgombra” per riuscirvi o magari, più semplicemente,
era solo una questione di paura. Quelle ultime parole di Andrea,
Laura non le aveva mai capite ma ne sentiva, tuttavia, sulle spalle lo sconosciuto
e minaccioso peso. Ciò nonostante doveva farlo, era necessario dimenticare,
alla fine avrebbe dovuto per forza aprire una finestra per cambiare
l’aria a quella stanza nella sua testa, da troppo tempo chiusa.
Anche Mario aveva paura. Lui conosceva piuttosto bene con chi poteva
avere a che fare, restava solo da capire che cosa volessero da lui. Decise
così di cominciare a prendere qualche precauzione, iniziando col non perdere
mai di vista i tre figli. Ogni mattina li accompagnava personalmente a
scuola, andandoli puntualmente a riprendere all’uscita e, se per qualche
motivo non poteva, incaricava il suo fidato amico Sandrino, uomo particolarmente
adatto a questo tipo di lavori.
Sandrino era, infatti, un tipo cresciuto per strada, faceva il “buttafuori” in
un locale notturno a Torre del Lago, era una montagna di un metro e novantotto
per centotrenta chili e conosceva piuttosto bene certi ambienti e certi soggetti.
Nonostante Mario si fosse fermamente opposto al fatto che sua figlia
uscisse, Rosa con la sua collaudata e infallibile tecnica, era riuscita a convincerlo:
sabato sera Laura sarebbe uscita con Renzo.
In fondo, Mario, bisognava solo saperlo prendere e mostrargli le cose
dalla giusta prospettiva e Rosa, in questo, era una vera maestra. Le era
bastato, infatti, farlo sentire in colpa, costringendolo a notare semplicemente
quanto poteva diventare faticoso per sua figlia dimenticare e ricominciare,
continuando a tenerla chiusa in casa e Mario, dopo qualche mugugno, aveva
alla fine acconsentito.
Renzo Ghilarducci aveva ventisei anni, era un tecnico informatico che
Mario aveva conosciuto, grazie alla sua personale e cronica incapacità di
rapportarsi con qualsiasi oggetto che fosse dotato di una tecnologia più evoluta
di un accendino, in pratica, un giorno sì e l’altro pure, il ragazzo era a casa
dei Maffei a risolvere qualche problema sul PC, causato dalle maldestre
“manacce” del capofamiglia. L’andare e venire dalla casa dei Maffei, aveva
fatto nascere nel giovane una certa simpatia per Laura e adesso, lui
aveva finalmente trovato l’occasione e il coraggio per invitarla a uscire.
Renzo era un ragazzo grassottello e piuttosto timido, forse più di Laura,
nutriva per lei una certa attrazione ma non aveva mai trovato la forza di fare
il primo passo. Era un genio al computer ma, come tutti i geni, scarseggiava
di stile, in sostanza non riusciva mai a dire la cosa giusta nel momento giusto
o peggio ancora, non riusciva mai a perdere l’occasione per stare zitto.
Sabato sera si sarebbe, comunque, giocato il tutto per tutto.
Mario aveva dunque acconsentito, ma nemmeno lontanamente si sarebbe
mai sognato di abbassare la guardia. Toccò così a Sandrino marcare
stretto i due ragazzi e Mario, a proposito, fu molto chiaro:
– Il primo ’e s’avvicina a Laura lo devi massacrà! Mi so’ spiegato?
Sandrino portò con sé Franco, aveva bisogno di un appoggio per poterla
tenere meglio d’occhio, anche perché seguire qualcuno il sabato sera in
Darsena non era cosa facile.
Franco Maione, per gli amici “Veleno”, era un ragazzo di vent’otto anni
di origine napoletana, belloccio, sempre tirato al massimo, faceva anche lui il
buttafuori e praticava con molta convinzione la Thai Boxe. Era bravino,
magari forse un po’ esaltato, ma a parte questo era un ragazzo in gamba e,
per la situazione, tutto sommato l’ideale.
21 aprile 2007
Come tutti i sabato sera, il Pub era stracolmo. Laura e Renzo avevano
trovato posto in un angolo vicino alla toilette, non era il punto più bello del
locale ma era sempre meglio che restare fuori ad aspettare che si liberassero
dei posti, tanto non era quello l’importante. La cosa più bella, infatti, si rese
conto a un certo punto Laura, era che si stava veramente rilassando, Renzo
non era il massimo della compagnia e del divertimento ma non importava, lei
si sentiva bene e, francamente, per la prima volta non gliene fregava proprio
niente di tutto e di nessuno. Laura aveva bevuto solo un succo di frutta e
sembrava già ubriaca tant’era la voglia di ridere, Renzo invece era già alla
quarta birra ed era invece più “impallato” di un tossico sotto anestesia. Parlava
o meglio, cercava di esprimersi ma, nonostante l’ammirevole impegno,
riusciva a emettere solo suoni vagamente comprensibili, impastati e annodati
fra loro come se parlasse con la bocca piena di nutela. Se pensava che la
birra lo avrebbe caricato e sciolto, si era sbagliato e anche di molto, comunque,
le quattro Ceres a un certo punto a qualcosa fecero effetto; Renzo si
alzò, così, per andare al bagno.
Laura rimase da sola al tavolo, i suoi pensieri andavano ora verso suo
padre, lei sapeva quanto era apprensivo. “Chissà ora starà siuraménte guardando
impaziente l’orologio e magari sta già telefonando a Sandrino, voi che
’un me l’abbia messo al culo?” Pensò Laura, provando una certa tenerezza
per suo padre. Adesso lo capiva, chissà come mai ora riusciva a comprendere
quel suo arcaico modo di pensare che tante volte aveva trovato così
inopportuno ed esagerato. “Ora lo chiamo io e lo tranquillizzo!” Pensò ma i
suoi pensieri vennero, invece, bruscamente interrotti:
– Ciao Laura!
Laura si voltò di scatto, il suo cuore cominciò a battere veloce, davanti
aveva un muro di persone che non conosceva. Non riusciva a respirare,
“non è possibile” pensò, continuando a cercare tra la gente, “non è possibile,
è la sua voce, è la voce di Andrea!”
Cambiò posto, si sedette con le spalle alla parete continuando a guardare
verso quella direzione, cercava la sua faccia tra la gente, fu in quel momento
che sentì un urlo provenire dalla direzione dei bagni. Ci fu una gran confusione
generale, anche Laura, sia pure continuando a tenere le spalle attaccate
al muro, si alzò in piedi. Davanti al bagno si era creato un capannello di
curiosi che gli addetti alla sicurezza cercavano, invece, di allontanare.
– Cos’è successo? – Domandò Laura a una ragazza che la folla aveva
spinto verso lei.
– Non lo so! – Rispose la ragazza. – Sembra che abbino trovato uno
morto nel gabinetto.
Sandrino e Franco sbucarono tra la gente, afferrando Laura sotto braccio,
lei non oppose resistenza, non capiva, aveva le gambe deboli, tremava.
La portarono via, prima che potesse vedere o capire qualcosa, giusto un
attimo prima dell’arrivo della Polizia.
Continua...
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