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Quando non si hanno amici, poche cose sono più imbarazzanti del percorrere il corridoio affollato di una scuola da soli, tentando di passare rasente ai muri per rendersi invisibili, per magari essere costretti poi, quasi per forza di cose, a procedere portandosi al centro, mentre le voci attorno a te al tuo passaggio sembrano abbassarsi di tono trasformandosi in risatine e bisbigli. È proprio in un’immagine come questa che va ricercato il senso di “Whispering corridors”, il titolo che il regista Park Ki-hyung ha scelto per il primo episodio di quella che diventerà, nel giro di pochi anni, una delle più celebri saghe cinematografiche della Corea del Sud. Reali o soltanto immaginati, risatine e bisbigli hanno in qualche modo caratterizzato la vita scolastica di ciascuno di noi. Alzi la mano chi può affermare il contrario. Qualcuno, in rari casi, può averli interpretati come timidi gesti di approvazione o ammirazione ma, sono pronto a scommetterci, la maggior parte di noi li ha vissuti male, interpretandoli, spesso a ragione, come segnali di disapprovazione, di distinzione o, peggio ancora, di derisione. Reali o soltanto immaginati, risatine e bisbigli sono il sintomo di un’insicurezza di fondo, caratteristica tipica degli adolescenti di tutto il mondo, costantemente alle prese con la necessità di essere accettati in un mondo competitivo che inizia proprio nei corridoi scolastici, un mondo competitivo con il quale si deve convivere e al quale, sin da bambini, ci si deve commisurare.
E se vi sembra competitivo il nostro sistema scolastico, allora non conoscete quello coreano… ma di questo parleremo in maniera un po’ più approfondita nei prossimi giorni in quanto, se vogliamo immergerci completamente (e correttamente) nell’atmosfera dei “corridoi sussurranti”, il sistema scolastico coreano è un argomento da cui non si può prescindere..
Vigilia dell’inizio del nuovo anno scolastico alla Jookran High School for Girls. È notte fonda ma qualcuno all’interno pare non accorgersene. La tensione è già palpabile quando la mdp ci accompagna all’interno dell’ufficio della professoressa Park Yong-soo, sulla cui scrivania, rischiarata dalla fioca luce di un abat-jour, giacciono alcuni registri di classe risalenti a diversi anni prima. Sembra che ci sia qualcosa di strano in quei registri, forse la chiave che spalancherebbe la porta dietro la quale si cela la verità sulla misteriosa morte di un’alunna avvenuta nove anni prima.
La professoressa Park è convinta che la defunta Jang Jin-ju sia ritornata dall’aldilà e che questa non sia nemmeno la prima volta. Jin-ju sembrerebbe infatti essere tornata più volte, addirittura ad intervalli regolari nel corso degli anni. Tormentata da tale ipotesi, decide di discutere al telefono dei suoi sospetti con una sua ex allieva, Hur Eun-young, ma…
Ma la notte a volte può diventare un tunnel senza sbocco; una scuola deserta, specialmente di notte, può diventare un luogo terribile, ossessionante, malsano, addirittura una trappola mortale. La mattina successiva la scena è da incubo: alcune studentesse troveranno il corpo senza vita della loro insegnante penzolare ad una corda all’esterno dell’edificio. La morte di Park Yong-soo viene rapidamente (e opportunamente) archiviata come suicidio, mentre i registri di classe che la poveretta stava esaminando spariscono misteriosamente. Hur Eun-young torna a scuola dopo nove anni, stavolta nelle vesti di insegnante, e in breve tempo viene travolta dai ricordi. A tormentarla, in particolare, è il rimorso mai sopito per la rottura della sua amicizia con Jin-ju, causata anche dalle pressioni della professoressa Park che non riteneva Jin-ju un’amicizia conveniente per lei. Sola e vessata dai compagni, Jin-ju si era suicidata proprio all’interno della scuola. Per Eun-young dimenticare è impossibile. Sconcertata dalla nuova situazione trovata nella scuola, la giovane insegnante si imbarca in una ricerca per capire cosa esattamente stia succedendo. E così, mentre lei cerca un contatto con lo spirito di Jin-ju, la narrazione si concentra sulle amiche Lim Ji-oh e Yoon Jae-yi che, da studentesse, passano momenti difficili: Ji-oh, infatti, viene presa di mira dal terribile professor Oh Gwang-goo…
Sebbene un titolo come “Whispering corridors” evochi lunghi corridoi male illuminati da cui fantasmi vendicativi osservano e si manifestano per braccare ignari e malcapitati personaggi, di tutto questo nel film non c’è traccia, o quasi. Il body count a conti fatti è minimo e già questo fatto, da solo, basta a chiarire che ci troviamo di fronte a un horror atipico. I lunghi corridoi tra le aule ci sono, naturalmente, ma sono perlopiù vuoti di qualsiasi presenza, umana o immateriale, quasi a simboleggiare la solitudine degli studenti in un’istituzione scolastica disumanizzante. Non ci sono scene del film girate al di fuori dell’ambiente scolastico, come se la vita delle studentesse (siamo, come detto, in una scuola femminile) esistesse solo in rapporto con la scuola. Gli unici adulti sono i professori, quasi tutti individui sgradevoli - i soprannomi della professoressa Park e del professor Oh, rispettivamente Old Fox e Mad Dog, sono rivelatori - impegnati a mantenere la disciplina, arrivando sino alla violenza fisica, e a sobillare la rivalità tra studenti. In un ambiente così competitivo, i compagni di classe sono dei nemici e tutto ciò che conta sono i risultati; i voti etichettano e stabiliscono chi vale, anche socialmente, perché chi tentenna o cade viene compatito, deriso, emarginato. Nella scuola coreana, così impietosamente descritta in questo film, non c’è posto per la comprensione e la compassione come non ve n’è per l’estro e l’individualità: è il fallimento totale del concetto di educazione. “Whispering corridors” è controverso proprio per le ombre che getta sul sistema scolastico nazionale e, non a caso, all’epoca della sua uscita fu molto contestato.
Ad una visione superficiale “Whispering corridors” può essere scambiato per l’ennesimo film orientale caratterizzato dalla presenza di un fantasma vendicativo, ma se ci sofferma un attimo non è difficile ricredersi. Questo è proprio ciò che è successo a me. Ora penso invece che questo sia fondamentalmente un film sull’amicizia e sulla solitudine. Dopo Eun-young e Jin-ju, infatti, anche le coppie di amiche Ji-oh e Jae-yi e So-young e Jung-sook sono destinate a separarsi per sempre. Jin-ju non cerca vendetta, ma torna ciclicamente tra i corridori della scuola per cercare quello che in vita non è riuscita a concretizzare: un’amicizia sincera. E difatti, Jin-ju dispensa morte solo per proteggere se stessa, Ji-oh e la loro neonata amicizia: la professoressa Park deve essere eliminata perché ha scoperto la sua presenza nella scuola, mentre il professor Oh paga per aver maltrattato Ji-oh. Anche verso Eun-young Jin-ju non mostra cattiveria, sembra anzi quasi triste nel profetizzarle che anche lei, che ora è insegnante, è destinata a diventare come la professoressa Park: per questo, e non per vendicare torti veri o presunti, si decide a ucciderla. Se Eun-young muore non potrà diventare, come gli altri insegnanti, nemica sua o di Ji-oh; se Eun-young muore, non potrà fare nulla per separarle.
I colori del film sono smorzati, le musiche appena accennate, l’incedere della narrazione è volutamente lento e intimista, tanto che dopo la morte della Park, proprio all’inizio del film, non succede granché, e la successiva dipartita del professor Oh è una gradita parentesi di adrenalina che però non riesce veramente a turbare l’atmosfera quasi onirica che si è venuta a creare. La storia ruota tutta attorno a Ji-oh e Jae-yi, alle dinamiche ancora fragili della loro amicizia e alle vicissitudini scolastiche che le coinvolgono, mentre Eun-young fa poco altro a parte rimuginare sul passato. Con la sua area perennemente malinconica, Eun-young è di gran lunga il personaggio più singolare, e il suo attaccamento verso la scuola, che anche da adulta non riesce a lasciare, altro non è che la spia del suo rimorso per aver involontariamente contribuito alla morte di Jin-ju. “Whispering corridors” è voyeuristico nel mostrare le emozioni (trattenute, alla maniera orientale) dei personaggi, molto meno nel mostrare il sangue che difatti, se pur presente, scorre copioso solo alla fine: sangue che è solo simbolico, come quello della famosa scena dell’ascensore di Shining, sangue che è il sangue di Jin-Ju, che cola dalle pareti ma che in realtà sgorga direttamente dal suo cuore. Jin-ju, incalzata da Ji-oh, rinuncia a far del male a Eun-young e restare nella scuola, un gesto di amicizia che la riconsegna, se non all’oblio, alla solitudine cui appartiene. Ma in nove anni l’insano microcosmo scolastico non è cambiato di una virgola e il passato è destinato a ritornare. Dopo che So-young e Jung-sook hanno rimesso in scena, con poche variazioni, il dramma di Eun-young e Jin-ju, Jung-sook prende il posto di Jin-ju come spirito inquieto che, come si intuisce nel finale, è destinato a ritornare tra i corridoi della scuola. Questa conclusione, perfetta, non solo rimanda alla ciclicità del passato ma apre anche, furbescamente, le porte ad un sequel. Quel sequel, “Whispering corridors 2”, che fu girato un anno dopo, nel 1999.
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